In tempo di crisi e di tagli alla spesa pubblica, i benefit in welfare possono risultare appetibili quasi quanto il denaro contante. Poco meno di 50 mila dipendenti del settore bancario hanno infatti colto l’opportunità offerta dai sindacati di categoria, scegliendo di veder remunerata la propria attività con strumenti alternativi ai tradizionali ‘premi’.
I dati sono stati presentati oggi a Torino, nel corso del convegno “Welfare aziendale: nuove vie della contrattazione”, organizzato dalla FABI (il sindacato di maggioranza del settore), con la partecipazione di Tiziano Treu, Commissario dell’Inps, Franca Maino, ricercatrice all’Università di Milano e Direttrice del Laboratorio sul secondo welfare presso il Centro Einaudi, i responsabili delle Relazioni industriali e del Personale dei Gruppi Banco Popolare, IntesaSanpaolo, Monte Paschi di Siena, Ubi, Unicredit, Domenico Polizzi, Responsabile Legislazione del Lavoro di Eni Spa, Roberto Poetto, Direttore Risorse Umane di FATA Spa (Finmeccanica), e il Segretario generale della FABI, Lando Maria Sileoni.
Al centro del dibattito. il peso sempre più crescente che il welfare aziendale sta assumendo nell’ambito della contrattazione collettiva di settore. I vantaggi offerti sono, infatti, notevoli. Il premio sociale o in welfare è soggetto a un’imposizione fiscale molto bassa o in alcuni casi inesistente, quindi ciò consente di farne aumentare gli importi a beneficio del lavoratore, senza costi aggiuntivi per l’impresa. Un aspetto non secondario, visto che negli ultimi anni le aziende, soprattutto a causa dei bilanci negativi, hanno ridotto sensibilmente la quota di denaro da destinare alla remunerazione della produttività.
I dati, del resto, parlano da soli: nel 2014, in oltre l’80% dei principali gruppi bancari in Italia – da Intesa Sanpaolo a Unicredit, da Bpm a Ubi, da Veneto banca a Bper, dal Creval a Cariparma, da Bnl al Banco popolare, passando per Ubi e Unipol banca – la FABI e gli altri sindacati di categoria hanno negoziato premi aziendali che prevedono la possibilità per i lavoratori di investire la somma contrattata in spese così dette “sociali” – sanitarie, previdenziali o d’istruzione-, potendo così beneficiare di rilevanti agevolazioni fiscali, pari al 40% dell’importo lordo. Ma di che genere di benefit stiamo parlando? Quelli contrattati nel settore credito, presentati nel corso del convegno torinese, riguardano quattro aree:
– Figli: rimborso dei costi per asili nido, scuole, università, corsi di lingua, libri scolastici e centri estivi;
– Salute: miglioramento della copertura sanitaria per il dipendente e i suoi familiari, attraverso contribuzione aggiuntiva sulla Cassa sanitaria aziendale;
– Previdenza: contribuzione aggiuntiva al Fondo Pensione aziendale
– Tempo libero: buoni benzina (previsti in alcuni Gruppi, come ad esempio Ubi)
Insomma, un modo per migliorare la qualità della vita degli impiegati e alleggerire i loro bilanci familiari, tenuto conto di un welfare pubblico che sta sempre più restringendo i suoi spazi d’intervento. Inoltre, ciascun settore può contare su sgravi fiscali di entità variabili. Nel dettaglio: i contributi per i figli sono esclusi senza limiti dalla base imponibile fiscale e contributiva; i contributi per l’assistenza sanitaria sono esclusi dalla base imponibile fiscale e contributiva fino a € 3.615 l’anno; quelli per la previdenza complementare, infine, sono esclusi dalla base imponibile fiscale e contributiva fino a € 5.165 l’anno.
“Dare anche al welfare uno spazio nella contrattazione”, spiega Mauro Bossola, Segretario generale aggiunto della FABI, “si rivela una scelta politica lungimirante perché supplisce ai tagli che i Governi stanno effettuando sulla spesa sociale, venendo incontro alle esigenze dei cittadini. Dove non arriva più lo Stato può arrivare la contrattazione collettiva dei sindacati. Inoltre, in un contesto di deflazione come il nostro, questi strumenti consentono il mantenimento del potere d’acquisto del salario di produttività dei lavoratori”. “Perciò”, prosegue Bossola, facciamo appello al Governo affinché le politiche di detassazione in tema di welfare e di produttività vengano ampliate e rafforzate”.
Tuttavia, seppure i benefit in welfare valgono ‘’quasi’’ quanto il denaro contante, questo non significa che possa sostituirlo del tutto. Per questo, nel suo intervento conclusivo, il segretario generale della FABI, Lando Maria Sileoni, ha voluto sottolineare, in vista del rinnovo del contratto di categoria che interessa circa 309mila bancari italiani, che “il welfare aziendale non può essere usato dalle banche per destrutturare il contratto nazionale, ma deve essere semmai un elemento di arricchimento della contrattazione”.