Il diario del lavoro ha intervistato il segretario nazionale della Fim Cisl, Massimiliano Nobis, sul ‘’caso Wärtsilä”. Per il segretario, il sito produttivo ha delle possibilità sia di conferma degli attuali asset industriali che di reindustrializzazione, ma il problema è il rifiuto, da parte dell’azienda, di concedere i tempi necessari per esplorare soluzioni alternative alla delocalizzazione e al licenziamento dei lavoratori.
Nobis, nei giorni scorsi avete avuto un incontro al Mise con la dirigenza di Wärtsilä, come è andato?
Erano presenti il ministro Giorgetti e Orlando, e tutti ci si aspettava che l’azienda sospendesse la procedura. Con i tempi previsti dalla procedura, non c’è materialmente il tempo per discutere un piano industriale di reindustrializzazione o ricollocazione. Quindi, vista la disponibilità dichiarata dell’azienda a sedersi a un tavolo, abbiamo chiesto almeno la sospensione della procedura.
Di quale procedura esattamente si parla, ce la può spiegare?
Il 14 luglio Wärtsilä ha aperto una procedura di mobilità in base alla legge in vigore dal 1° gennaio 2022, che prevede il cosiddetto “piano di mitigazione”, col quale le aziende dovrebbero definire un piano di reindustrializzazione e occupazione. Questa procedura concede all’ azienda ha 60 giorni di tempo per presentare un piano che risponda alla ratio della norma, ossia della ricollocazione e salvaguardia occupazionale. Poi ci sono ulteriori 30 giorni per discutere del piano. Questi complessivi 60 giorni scadranno il 12 di settembre.
Quindi voi avete chiesto di sospendere tutto per avere più tempo per discutere.
Si, perché anche con la sospensione la procedura mantiene comunque intatta la sua validità. Si tratta quindi di congelarne solo gli effetti per un periodo che noi chiediamo sia almeno di sei mesi. In questo modo si potrebbero discutere tutte le ipotesi possibili. A differenza di quanto pensa l’azienda, non ci sono criticità produttive o di perdita, considerato che realizzano prodotti strategici come i motori marittimi e propulsori per le centrali elettriche terrestri. La volontà dell’azienda di andarsene dall’Italia, delocalizzando e tornando in Finlandia, la vediamo come una scelta politica.
E cosa vi ha risposto l’azienda?
Ha rifiutato la sospensione. I nostri ministri del Lavoro e dello Sviluppo economico hanno insistito nella speranza di un ripensamento, garantendo che la sospensione sarebbe stata solo un congelamento dei tempi, cioè di 6 mesi, ma non degli effetti della procedura. L’azienda ha tuttavia ribadito il suo rifiuto.
Perché questo incaponimento?
Dicono di avere già una collaborazione con un advisor, il quale avrebbe già dei piani di reindustrializzazione, e quindi non c’è alcun bisogno di più tempo. Ma per noi gli obbiettivi devono essere prima condivisi e poi sviluppati. Per condivisi intendiamo che se l’azienda dismette la produzione di motori marittimi dovrebbe esserci al suo posto una produzione di pari livello per ricerca e sviluppo e competenze professionali. E sicuramente in 30 giorni non si trovano. Già il 27 luglio l’azienda ha dato una sberla al governo, rimanendo della stessa idea dopo l’invito a rivedere le sue a posizioni, ma l’altro ieri ha girato le spalle all’intero Paese.
In questo quadro c’è stata una presa di posizione di Confindustria, e quale?
Su questa vertenza la Confindustria di Trieste si è schierata con i lavoratori. Anche al Mise, nel corso di una riunione ufficiale, hanno dichiarato che anche loro sostengono i lavoratori.
E adesso cosa succede?
Tra 30 giorni, se non si trova un accordo, l’azienda aprirà formalmente la procedura di mobilità e fine dicembre potrebbe licenziare 450 dipendenti. Le promesse fatte dai ministri Orlando e Giorgetti potrebbero rivelarsi decisive nel trovare delle soluzioni più idonee.
Ovvero?
C’è l’impegno a un intervento legislativo per modificare la legge 234, cioè la legge che attualmente regola la procedura di mobilità, per inserire delle tempistiche più lunghe che permettano la discussione sulla reindustrializzazione. Certo, adesso ci troviamo in una situazione politica particolare, con un governo transitorio, vedremo.
Non esistono altre strade?
Si, ne esisterebbe un’altra che dovrebbe affrontare sempre lo Stato: si espropria il sito, si rimette in grado di produrre e salvaguardare così anche l’occupazione, e dopo qualche tempo si rimette sul mercato. In fondo la politica ha sempre affermato che questo tipo di produzione è strategica per il Paese, e qui è coinvolta tutta la filiera della cantieristica navale, dunque ha un peso importante sul Pil. Se si considera veramente strategica per il Paese, allora lo Stato potrebbe mettere in pratica una difesa di questa produzione.
Un percorso analogo alla compagnia aerea ITA insomma.
Esatto. Inoltre ho chiesto ai due ministri presenti al tavolo del Mise che si facciano promotori di una interrogazione parlamentare per la comunità europea, considerato che la Finlandia ne fa parte, non tanto per evitare la decisione dell’azienda di delocalizzare, che è legittima, ma come la fa, in che modo va via dal Paese. C’è una bella differenza se fa come vuole oppure come dovrebbe essere.
Quindi quale sarebbe il giusto e rispettoso percorso che dovrebbe percorrere l’azienda?
Mantenere in piedi il sito con una diversa produzione di pari livello agli strategici motori nautici e propulsori delle centrali elettriche. Ripeto, la nuova produzione dovrebbe essere di pari livello, valorizzando tutte le competenze professionali.
Ma cambiare produzione sarebbe fattibile?
Bisogna almeno provarci, sedersi a un tavolo e capire. Abbiamo una serie di elementi di vantaggio: il primo è che il sito è ubicato in una posizione dove le infrastrutture sono di alto livello, perché si ha vicino un porto, una autostrada e una ferrovia, oltre che essere vicino a una frontiera che si affaccia sui paesi dell’Est. Il secondo è che abbiamo un Pnrr che potrebbe sostenere delle produzioni, lo sviluppo e la ricerca, ad esempio la produzione di motori a idrogeno. Terzo, abbiamo una regione a statuto speciale che non solo ha qualche risorsa in più ma soprattutto ha una agilità burocratica nel gestire le proprie risorse. Quindi le condizioni per far nascere un polo industriale di pari livello, sia per qualità e prospettiva, ci sono. Ma occorrerebbero decisioni del governo, occorrerebbe, per esempio, incaricare degli advisor di esplorare il mercato, anche europeo, per valutare le potenzialità industriali del sito. Ma ripeto, in 30 giorni non si può concludere nulla.
Emanuele Ghiani