Prendo spunto da una esperienza personale: un rapinatore romano ucciso a giugno 2017 da un gioielliere pisano. Un fatto di cronaca toscana, elemento di un acceso dibattito politico sulla legittima difesa. Sì, ma per me e per altri ex-docenti volontari nel carcere pisano Don Bosco, anche un po di più: il rapinatore romano infatti è stato per anni un nostro studente (per me, in francese) portato nel giugno 2015 alla maturità, risultato di cui andavamo fieri. Una sconfitta personale dunque, collettiva forse, “professionale”? Si è parlato di legittima difesa e di reinserimento dei detenuti: temi essenziali. Ma al di là della sconfitta apparente della “missione educativa”, si può anche riflettere sul volontariato in carcere, su una “missione” finalizzata all’accompagnamento (da visitatore) o al reinserimento (da educatore) in una istituzione centrata sulla “sicurezza”. L’associazione di volontariato pisana Controluce dentro laquale ho collaborato dal 2013 al 2015 era infatti incaricata della formazione scolastica al Polo Educativo (maschile) del carcere Don Bosco. Giovani insegnanti di varia provenienza (avvocati, ingegneri…) con motivazioni diverse ci collaboravano con ex-docenti di scuola media-superiore in pensione, non di rado spinti da una motivazione religiosa. Dal 2016, l’insegnamenti presso i detenuti maschi è passato al personale (titolare o precario, comunque retribuito) dell’Istituto Tecnico Matteoti, che prima curava solo esami e titoli di studio. In questo contesto, come va definita una attività di volontariato (in carcere), sostituibile con un lavoro stipendiato tradizionale? Una attività sussidiaria all’amministrazione penitenziaria (che favorisce o contrasta a secondo dei carceri) e alla Pubblica Istruzione. Una attività gratuita ma “para-professionale” allo stesso momento (pur in condizioni non facili, l’investimento dei volontari nella preparazione agli esami non aveva niente da invidiare a quello di docenti in una scuola normale).
Il ritorno sull’impatto dell’attività di volontariato all’occasione di un tragico evento come la recente rapina (fallita) di Pisa può suscitare una riflessione sul rapporto del volontariato in generale al “lavoro professionale”: tema ormai classico per i sociologi francesi del Terzo Settore, che merita un approfondimento con l’attuale crisi economica più prolungata che non superata per i più. “Il lavoro volontario: impegno civico o lavoro gratuito?”, si intitolava un libro del 2010 pubblicato a Parigi, che referendosi a indagini negli Stati Uniti e in Francia, ipotizzava un segno di distinzione per i ceti agiati e una strategia di sopravvivenza per i meno abbienti, cosi come un rapporto complesso di sostituzione/complementarietà allo Stato e agli enti locali. Ma studi più recenti analizzano anche l’introduzione di prospettive e tecniche manageriali in molte realtà del volontariato francese: proprio come in azienda. Insomma, un mondo variegato a parte per le motivazioni, la frequente gratuità, la dedizione dell’impegno, ma non tanto!