W Clara Zetkin. L’esortazione, su un muro del Tufello, periferia est di Roma, agita le nebbie della memoria. Chi era costei? Verrebbe da chiederlo agli automobilisti, che qui sono costretti a rallentare per un’insidiosa curva. Non ci sono marciapiedi, la strada è stretta, senso unico in salita. Tutto il lato sinistro svolge le funzioni di lavagna per i writers.
“Fuori le guardie, i fasci e gli hipster dal quartiere”, ha scritto qualcuno, creando un bizzarro connubio tra le forze dell’ordine, gli squadristi e i giovani stravaganti e disimpegnati , ammesso che l’ignoto autore sapesse il significato esatto del termine americano. Ma, a sorprendere, perché davvero inaspettato, è l’evviva tributato alla rivoluzionaria tedesca. Siamo intorno all’8 marzo e il nome di colei che fu un’antesignana dell’emancipazione femminile, e alla quale si deve la scelta di questa data, ha il gioioso colore delle mimose. Il filo della memoria pende speranzoso dalla parete scrostata.
“Fu lei – ricorda la scrittrice Gaetanina Sicari Ruffo – a proporre nel 1911, un anno dopo il tragico rogo di Chicago, nel quale perirono 120 operaie, un giorno per ricordarle, che poi divenne la giornata della donna”. E ancora: “La lotta per l’emancipazione di genere fu un punto di forza del suo pensiero come parte integrante del grande riscatto del proletariato cui si dedicò con grande passione”. Proprio questa visione complessiva dell’offensiva muliebre come parte essenziale, anzi determinante, della lotta di classe e del superamento del sistema capitalista, le hanno attirato successivamente critiche di riduzionismo da parte delle femministe più accese sul tema della discriminazione di genere.
Osservazioni ingenerose, quantomeno se si tiene conto del periodo in cui lottò Clara Zetkin. Nata nel 1857 a Wiederau, Sassonia, fu sempre dalla parte dei più deboli e degli sfruttati. Si sposò due volte. Con il primo marito, un russo dal quale prese il cognome e che morì di tubercolosi, ebbe due figli. Pacifista, antifascista e internazionalista, militò nella sinistra socialdemocratica e poi fece parte del movimento spartachista. Più volte arrestata e costretta all’esilio per la sua propaganda contro la guerra, lottò al fianco di Rosa Luxemburg fino a quando quest’ultima venne assassinata, il corpo gettato in un fosso.
Un’indimenticabile immagine le ritrae assieme, sottobraccio, dolci e tenaci, tenere e combattive, le lunghe gonne che coprono le scarpe. Un basco e un austero cappottone, Clara. Un cappello più civettuolo, una camicetta bianca e una collana , Rosa. Un sorriso appena accennato le fa apparire quasi intimidite di fronte all’obbiettivo del fotografo. Eccole, le sovversive, le bestie nere della polizia tedesca!
Zetkin, ancor più dell’amica, marxista a tutto tondo, si batté per i diritti delle donne. Su questo tema incalzò più volte lo stesso Lenin, che ben conosceva (ricordò questi colloqui in alcuni scritti). Cercò anche di coinvolgere il gran capo dei bolscevichi nell’organizzazione di un congresso internazionale delle donne senza distinzioni di partito, ma alla fine il progetto andò a monte.
Il 30 agosto del 1932, in quanto parlamentare più anziana, eletta nelle liste del partito comunista, le toccava aprire i lavori del Reichstag, ormai ostaggio dei nazisti. L’avevano minacciata di cacciarla a pedate, di prenderla per le orecchie e di sbatterla fuori. La definivano ebrea, traditrice, donnaccia. Non si fece certo intimidire. Quasi cieca, con un filo di voce, pronunciò un formidabile discorso (lo si può ascoltare, in tedesco, su Internet) che invitava tutte le forze democratiche a mettere in secondo piano “le differenze politiche, sindacali, religiose ed ideologiche” e ad unirsi per affrontare e sconfiggere le orde di Hitler. Per tutta risposta, i deputati elessero alla presidenza Hermann Goring.
Non le restò altra scelta che fuggire nell’Unione Sovietica, dove morì il 20 giugno del 1933. Sono passati novant’anni. La storica Marilyn Boxer osserva: “Colei che è stata probabilmente la donna socialista più nota nel mondo, oggi è praticamente sconosciuta”.
Un muro del Tufello le rende giustizia. Almeno l’8 marzo.
Marco Cianca