Un accordo ponte che anticipa il futuro contratto nazionale del settore, ma intanto pone le basi per una collaborazione che porti a una crescita della competitività delle imprese. Perché solo così sarà possibile tenere e magari anche ampliare l’occupazione. E’ questo il giudizio espresso da Vito Antonio Vitale, segretario generale della Fistel Cisl, sull’intesa che i sindacati di settore hanno stretto con l’Asstel, l’associazione delle aziende delle telecomunicazione in questi giorni. Un’intesa che vuole rappresentare una cesura su pratiche sindacali che non partano dalla realtà delle imprese.
Vito Antonio Vitale, dopo una lunga preparazione avete raggiunto un accordo con Asstel per il futuro della contrattazione nel settore delle telecomunicazioni. In cosa consiste?
Non esistevano le condizioni per un nuovo contratto nazionale del settore, e allora noi, invece di accettare passivamente un vuoto contrattuale, abbiamo sottoscritto un “accordo ponte” con il quale abbiamo raggiunto tre diversi importanti obiettivi. Abbiamo tutelato i diritti e difeso l’occupazione del settore in un’ottica bilaterale di sostegno alla competitività delle imprese. Abbiamo offerto al paese un modello di relazioni costruttive ed efficaci, in un settore decisivo e trainante. Infine, abbiamo contrattato il futuro perché le telecomunicazioni rappresentano uno straordinario osservatorio per comprendere i trend del mondo globale.
Quindi si è trattato di un’intesa propedeutica al contratto che sarà negoziato in un secondo momento?
Si, è così. Ma così abbiamo posto dei precisi paletti per i contenuti del prossimo contratto.
Quali sono?
Il nuovo contratto stabilirà la centralità del secondo livello e valorizzerà il welfare. Abbiamo anche deciso di definire un’area contrattuale per le attività di Customer care per garantire la qualità del servizio, ma anche garantire modalità innovative di conciliazione vita-lavoro. Garantiremo l’occupabilità delle persone. E naturalmente adegueremo il contratto alle disposizioni del Testo unico sulla rappresentanza.
Ma perché non attendere il nuovo contratto?
Per capirlo si deve partire dal fatto che i processi di competitività globale hanno attivato riorganizzazioni profonde nelle principali aziende italiane del settore. In presenza di queste difficoltà abbiamo voluto salvaguardare i posti di lavoro, ma anche ampliare la platea occupazionale creando le condizioni affinché le imprese possano crescere.
La crescita delle imprese è importante per il sindacato?
Deve diventare il pallino del sindacato, perché solo la crescita genera investimenti e posti di lavoro e un margine economico che ci consenta di contrattare aumenti retributivi senza che questi portino riduzioni delle dinamiche occupazionali.
Per questo volete valorizzare sempre più il secondo livello di contrattazione?
Sì, perché contrattare in azienda significa misurarsi con le condizioni reali delle imprese, capire fin dove ci si può spingere, quali sono i rapporti tra l’azione contrattuale e le dinamiche di crescita delle imprese. Deve esserci un rapporto virtuoso tra produttività e retribuzioni.
Perché puntate sul welfare contrattuale?
Il welfare deve essere interpretato come una componente sostenibile della retribuzione. Ma soprattutto rappresenta una grande occasione e, proprio perché non diventi una concessione unilaterale, dobbiamo contrattarlo e finanziarlo.
E’ facile farlo?
Assolutamente no. Si deve conoscere a fondo il settore, le condizioni dell’impresa, la sua capacità competitiva. Ma è importante che la produttività non sia un tabù, ma una condizione essenziale per produrre valore, ridistribuirlo e indirizzarlo verso soluzioni vantaggiose per i lavoratori.
Ma il principio della crescita non deve valere solo nelle vertenze di azienda.
Certamente no. Io credo che i diritti si sfaldino se non poggiano su un terreno solido con caratteristiche forti di stabilità e tenuta. Per questo, per esempio, è stato giusto considerarlo come un elemento decisivo nella discussione in corso con il governo sul tema delle pensioni.
Lei approva il giudizio che la Cisl ha dato dell’esito di quel confronto?
Sì, la confederazione ha fatto bene ad accogliere positivamente le proposte del governo perché non si può fingere che l’invecchiamento della popolazione e la massiccia disoccupazione giovanile non esistano. Ma è sulla crescita che si deve puntare.
In che senso?
Più crescita significa più occupazione, quindi maggiore contribuzione e più sostenibilità dei costi della previdenza. La sfida previdenziale non si giocherà sull’allungamento dell’età pensionabile, ma sulla capacità del sindacato di contrattare in un’ottica bilaterale con le aziende che puntano sulla crescita e su dinamiche positive a livello di investimenti e di occupazione.
In passato i diritti sono stati finanziati anche incrementando il debito pubblico.
E’ una responsabilità politica forte, che dalla prima è stata traghettata alla seconda repubblica. E infatti il debito pubblico è cresciuto invece di diminuire, causando la mancata crescita con cui il nostro paese deve fare i conti da anni. Per questo dico che il nostro accordo è una vera prova di coesione nazionale, perché sindacato e imprese hanno cercato in questo modo di creare le condizioni per far crescere le imprese. Deve instaurarsi un circolo virtuoso, maggiore crescita, più lavoro, più diritti del lavoro.
Lei parla di una visione comune tra imprese e sindacato. E’ possibile?
Deve esserlo. Serve una visione bilaterale in cui siano assieme competitività delle imprese, occupabilità dei lavoratori, redistribuzione della ricchezza prodotta. Devono essere tante tessere di un unico mosaico. E’ così che nasce la coesione nazionale.
Ma perché proprio il settore delle telecomunicazioni?
Perché è un odei settori più dinamici e ricopre un ruolo strategico per lo sviluppo del paese. In questi anni abbiamo avuto forti criticità congiunturali, ma il settore delle telecomunicazioni è quello che ha dentro più futuro.