“L’unione dell’Europa si compie con lo sviluppo di istituzioni democratiche designate a gestire la sovranità comune.” Chi lo ha detto? Non un politologo tipo Peter Mair, autore di un libro intitolato Governare il vuoto, ma il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’ultima pagina delle sue Considerazioni finali, presentate ieri mattina, a Roma, nella storica sede di via Nazionale.
Da tempo, l’ultimo giorno di maggio è quello in cui il massimo responsabile di quello che fu il nostro Istituto di emissione, rende pubblica la sua Relazione annuale. Un testo relativamente ponderoso (175 pagine, quest’anno) che sarà prossimamente presentato anche in Parlamento. Ma fin dagli anni di Guido Carli, il Governatore svolge, in tale occasione, un ragionamento – le Considerazioni finali, appunto – che hanno lo scopo di sintetizzare il senso politico, e non solo analitico, della relazione stessa.
Ora è indubbio che quest’anno, rispetto alle più recenti edizioni delle Considerazioni, Visco abbia parlato meno di sistema produttivo, e più di sistema bancario. Meno di Italia, e più di Europa.
Nel 2014, il cuore delle Considerazioni finali stava in un richiamo alla necessità di accrescere la capitalizzazione delle nostre imprese, specie per ciò che riguarda l’industria manifatturiera. Nel 2015, il Governatore si mostrò particolarmente attento a porre in evidenza i primi, timidi segnali di uscita – sia sul piano produttivo, che su quello occupazionale – da una crisi ormai pluriennale. Anche se con la prudenza derivante dal permanere di una domanda interna ancora insufficiente.
Quest’anno, lo scenario è cambiato. E per comprendere perché basta pensare a quanto spazio le crisi bancarie abbiano avuto, nei mesi più recenti, nelle cronache economiche dei nostri quotidiani. Crisi che, secondo Visco, hanno le loro radici negli anni della recessione: “Nella seconda metà del 2011, la fase più acuta della crisi del debito sovrano, e ancora nel 2012, le banche italiane hanno risentito di un significativo peggioramento della raccolta all’ingrosso; mentre andava deteriorandosi una parte crescente dei prestiti concessi” (pag. 17).
Ora è vero che, in tale contesto “situazioni di grave difficoltà restavano circoscritte a pochi intermediari” e che, già nel 2013, il Fondo monetario internazionale ha dato atto della capacità del nostro sistema bancario di “contenere autonomamente gli effetti della crisi e di conseguire, con il ricorso al mercato, livelli di capitalizzazione adeguati” (pag. 17). Rimane il fatto che le banche italiane “hanno subíto i colpi della crisi” e che, mentre “i crediti deteriorati sono elevati”, “la redditività è bassa” (pagg. 24-25).
Visco, mantenendo lo stile prudente e rigoroso dei suoi predecessori, evita qualsiasi tono allarmistico circa la tenuta del nostro sistema bancario. Infatti, sottolinea la “diffusa determinazione a superare le difficoltà” e a “ritornare a servire con profitto l’economia” (pag. 25). Rimane il fatto che le pagine dedicate alle difficoltà delle banche hanno tolto evidentemente spazio, quest’anno, alle analisi sul nostro sistema produttivo. Per altro verso, ma con una tendenza parallela, quest’anno ci sono meno pagine dedicate alle vicende nazionali e più a quelle europee.
Come abbiamo già avuto modo di osservare l’anno scorso, Visco è sempre attento a non fare nomi e cognomi. E’ però evidente il suo apprezzamento dell’azione impostata e portata avanti da Mario Draghi, quale Presidente della Banca centrale europea. Ciò è percepibile fin dalle prime pagine delle odierne Considerazioni finali, laddove Visco affronta i problemi connessi con la “risposta della politica monetaria ai rischi di deflazione”. “Come più volte ho ricordato in questi ultimi anni – scrive Visco – al pari di un’inflazione eccessivamente elevata, anche una dinamica dei prezzi troppo contenuta è dannosa per la stabilità economica e finanziaria, soprattutto quando i debiti pubblici e privati sono alti e la crescita è debole.” Ebbene, prosegue Visco, “interventi decisi mirano a scongiurare il rischio che le aspettative di inflazione si discostino per un periodo prolungato dal livello coerente con l’obiettivo della Banca centrale” (pag. 6). Poche parole apparentemente anodine. Ma esse implicano, in realtà, due cose. In primo luogo, una completa condivisione della politica di quantitative easing perseguita con determinazione da Draghi e dalla sua Bce. E, in secondo luogo, una non meno piena condivisione dell’interpretazione che lo stesso Draghi ha dato della funzione propria della Bce. Nel senso che se tale funzione è quella di mantenere la stabilità dell’euro, questa stessa stabilità va difesa non solo contro gli assalti di un’eventuale inflazione, così come pensa più d’uno nella Repubblica federale tedesca; ma anche, ed ecco il punto, contro le spire della deflazione.
Anche più oltre, Visco ha sentito il bisogno di esprimere il suo consenso nei confronti dell’azione condotta da Mario Draghi. “La politica monetaria – osserva Visco – guarda all’intera area dell’euro; contribuisce in modo decisivo alla tenuta della domanda aggregata; offre oggi al nostro paese condizioni molto favorevoli, da cogliere per intervenire ancora con riforme di struttura, necessarie per rilanciare l’attività d’impresa e creare maggiori, e migliori, opportunità di lavoro, in particolare per i giovani (pag. 24).” E qui, dopo questa sintesi dell’ampiezza e delle possibili conseguenze dell’azione condotta da Mario Draghi, Visco torna ai temi che gli sono più cari: “Bisogna puntare a riportare la produttività delle imprese, dell’economia nel suo complesso, su un sentiero di crescita solido e stabile: l’innovazione, l’investimento devono beneficiare di un ambiente che li favorisca e li premi”.
Se, infatti, la deflazione è nemica della ripresa, è anche vero il contrario, ovvero che solo la ripresa può sconfiggere in modo duraturo la deflazione. Va rilevato che, per Visco, il fenomeno deflattivo “non è limitato all’area dell’euro”, poiché “è connesso in larga parte con il calo del prezzo del petrolio”. Tuttavia, tale fenomeno “dipende anche, in misura rilevante, da dinamiche interne: i margini inutilizzati di capacità produttiva e di forza lavoro sono più ampi che in altre economie avanzate” (pag. 6).
Qui però si inserisce un secondo tema che percorre vari passaggi delle Considerazioni finali. Nel senso che l’attenzione portata all’azione svolta dalla Bce per contrastare la deflazione, considerata –come si è visto – come il frutto avvelenato della crisi globale insorta tra il 2007 e il 2008, ha fatto sì che lo sguardo di Visco si concentrasse sulla scena europea. Rispetto alla quale, si colgono elementi di almeno relativa sintonia con quanto espresso pochi giorni fa, giovedì 26 maggio, dal neo Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, nella Relazione da lui tenuta, a Roma, in occasione dell’Assemblea 2016 dell’associazione imprenditoriale.
Infatti, anche Boccia ha lodato la Bce, che “sta facendo tutto quello che è in suo potere e nel suo mandato per riattivare il circolo virtuoso dell’economia”, ma ha poi avuto parole di critica aperta rispetto alla conduzione politica – in senso lato intesa – dell’Unione Europea. La sua “governance politica – infatti – si è rivelata fallimentare”. Non solo: “Il metodo intergovernativo ha mostrato tutti i suoi limiti”. Ancora: “Il Consiglio europeo è diventato il teatro della rivalità fra i governi nazionali”. Per Boccia, occorre quindi “recuperare il metodo comunitario della sovranità condivisa” (pagg. 14-15).
Ebbene, anche se in termini più diplomatici, anche Visco si è mostrato insoddisfatto per il modo in cui le cose vanno (o non vanno) avanti a livello di Unione Europea. Nel 2012, argomenta Visco, il Presidente del Consiglio europeo pubblicò un rapporto che “prevedeva una graduale cessione di sovranità in campo economico e finanziario e l’affiancamento o la sostituzione di strumenti di intervento nazionali con analoghi istituti sovranazionali”. Però, mentre “le limitazioni alle leve nazionali sono state rapidamente poste in atto”, “l’introduzione e la piena condivisione degli strumenti sovranazionali segnano un ritardo”. Ne è seguito che “nel caso del sistema bancario si è pressoché annullata la possibilità di utilizzare risorse pubbliche, nazionali o comuni, come strumento di prevenzione e gestione delle crisi”. E ciò nonostante che “l’esperienza internazionale” mostri che “a fronte di un fallimento di mercato, un intervento pubblico tempestivo può evitare una distruzione di ricchezza, senza necessariamente generare perdite per lo Stato”, ma anzi “producendo spesso guadagni”. Concludendo, “non vi è motivo per considerare come impropri aiuti di Stato iniziative che contribuiscono a correggere fallimenti di mercato senza ledere la concorrenza”.
Par di capire, insomma, che guardando allo scenario dell’Unione europea con l’ottica di chi ha in mente i problemi generati dalla crisi nel sistema bancario, Visco sia giunto alla conclusione che le istituzioni europee non possono più restare a lungo in una situazione in cui, da un lato, gli Stati nazionali non cedono sufficienti quote di sovranità all’Unione, mentre, dall’altro, la Commissione usa il suo potere per impedire agli Stati di tentare di governare singole situazioni di crisi. Con il risultato di un blocco decisionale e operativo che mentre crea, di per sé, ulteriori grattacapi, ha anche l’effetto di porre in cattiva luce, per non dire delegittimare, la stessa Unione.
Par di capire, ancora, che per Visco si possa uscire da questa impasse non tornando indietro, ma facendo compiere alle istituzioni europee dei decisi passi in avanti. E ciò, in particolare, dando vita a istituzioni che siano, insieme, come detto nella citazione iniziale, democratiche, quanto alla loro fondazione, e capaci di assumere decisioni, quanto alla loro operatività.
Se le cose stanno così, il ricordo di Altiero Spinelli, evocato da Visco nelle ultime righe delle sue Considerazioni di quest’anno, non apparirà più come un omaggio formale legato alla scadenza di un anniversario (in questo caso, il trentennale della morte). Piuttosto, apparirà come il richiamo a un europeista che con il Manifesto di Ventotene, assieme ai suoi compagni di confino, aveva immaginato un’Europa che fosse capace di spezzare le “autarchie economiche” e di fondare il proprio progetto su valori fondamentali quali “pace, libertà, uguaglianza, promozione del benessere”.
E questa conclusione delle Conclusioni, se ci perdonate il bisticcio, ha un carattere insolitamente quanto esplicitamente politico.
@Fernando_Liuzzi