Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Cgil Sardegna, Fausto Durante, in merito alla vertenza Portovesme. Gli operai, saliti sulla ciminiera dello stabilimento, proseguono la loro protesta. Per il segretario è una buona notizia la convocazione dell’incontro da parte del governo, ma i problemi dello stabilimento sono molti, e per risolverli serve che la politica faccia ciò che è deputata a fare: prendere delle scelte e portarle avanti. Sul tema delle politiche energetiche sarde, ha spiegato Durante, queste scelte non sono state fatte e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Anzi sopra.
Durante, dal punto di vista pratico qual è la situazione oggi degli operati sulla torre?
I quattro operai dentro la ciminiera di Portovesme sono ancora lì sopra. Davanti ai cancelli della fabbrica è presente un’assemblea permanente che aspetta novità in merito all’incontro convocato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso per venerdì alle 10:00.
Facciamo qualche passo indietro, come si è arrivati a questo gesto estremo da parte degli operai?
Dal punto di vista industriale la Portovesme s.r.l. è la più grande azienda rimasta nel Sulcis Iglesiente. Lo Stato la considera di interesse strategico nazionale, dato che è l’unico impianto in Italia che produce piombo e zinco, oltre altri metalli pregiati come l’argento. Vive una condizione di difficoltà perché purtroppo, rispetto ad altre zone sia d’Italia che d’Europa, in Sardegna il prezzo dell’energia elettrica, che serve anche per queste attività industriali, è superiore di circa tre volte in un impianto analogo in qualunque altra regione italiana. Questa distorsione è causata da varie vicende che hanno segnato la nostra regione Sardegna.
Quali vicende?
Il rapporto complesso tra la Regione e il Governo sulle questioni energetiche, tra l’Enel e la Regione e tra Enel e le stesse imprese sarde. Quindi oggi, con l’aumento spropositato dei costi energetici, la situazione è complicata proprio dal punto di visto economico-finanziario dell’azienda. Tutto ciò sta mettendo seriamente a rischio il futuro produttivo dell’intero impianto.
Vi vedrete con la Regione sul decreto energia a novembre?
Questo è un altro livello di problemi, che purtroppo ha molto a che vedere con la crisi di Portovesme. La regione Sardegna ha impugnato il dpcm energia, il decreto dell’ex presidente del consiglio Mario Draghi. Ci sono stati alcuni pronunciamenti, prima del Tar e poi del secondo grado di giudizio, che hanno reso necessaria una udienza finale al Consiglio di Stato. Tra la Regione e il governo Meloni sarebbe stato raggiunto un accordo per posporre per quanto più possibile questa decisione del Consiglio di Stata ed è stata fissata una udienza a novembre.
Quindi ci vorrà altro tempo per sbrogliare la situazione.
Certo, ed è questo il tema. La Regione, sia secondo noi che secondo le altre sigle sindacali e Confindustria Sardegna, non può permettersi di aspettare quasi un altro anno, dato che siamo a inizio marzo, senza prendere iniziative concrete sul tema energetico e industriale.
Per esempio sul gas qual è la situazione nell’isola?
Siamo indietro. Consideriamo per esempio il metano, una fonte che in altre regioni si pensa di dismettere perché soppiantato da altre tecnologie: qui in Sardegna non è mai arrivato. La discussione da noi è se farlo arrivare attraverso i rigassificatori oppure puntare ad un gasdotto tra l’Algeria, Libia e Italia o puntare direttamente a un mix di varie fonti rinnovabili. Abbiamo una Regione che dal punto di vista delle scelte politiche sul tema energetico non sa dove deve andare. Il resto d’Italia e dell’Europa nel frattempo corre avanti. Questa questione, così come Portovesme, deve essere affrontata subito. Prendere decisioni, questo deve fare la politica. Dare un quadro di certezze alle imprese e al mondo del lavoro per poter permettere la prosecuzione delle attività industriali, in particolare in Sardegna dove sono prevalentemente concentrate su settori altamente energivori.
Più che decisioni sbagliate il problema quindi ne è la mancanza.
Esatto, qui non si muove nulla, è una paralisi. Ciò crea un danno ad un territorio, soprattutto come quello del Sulcis Iglesiente, che è già tra i più poveri d’Italia. Se aggiungiamo un possibile disastro industriale, dato che parliamo di 1.500 persone tra indiretti e diretti che ruotano intorno a Portovesme, non voglio immaginare come andrà a finire.
Con la Regione in che rapporti siete?
Il presidente della Regione Solinas lamenta che la Cgil continua ad attaccarlo, ma qui critichiamo il fatto dell’assenza delle scelte politiche industriali, di indirizzo delle linee energiche della Sardegna che la Regione avrebbe dovuto prendere da diversi mesi a questa parte e che invece non prende; in questo modo la situazione a Portovesme non può che peggiorare.
Come mai questo gesto estremo degli operai proprio in questi giorni? Era già successo in passato una protesta analoga alla torre di Alcoa.
Il 20 gennaio il presidente Solinas aveva annunciato in pompa magna, firmando anche un testo, un verbale mi pare, che la Regione avrebbe predisposto entro la fine del mese di febbraio una ipotesi di soluzione del problema che avrebbe scongiurato la crisi e permesso di guardare con più ottimismo al futuro. Le dichiarazioni erano ufficiali e sono reperibili sul sito della Regione.
Il 28 febbraio era ieri, è arrivata questa soluzione del presidente Solinas?
No, questa ipotesi di soluzione non si è proprio mai vista traccia. Ecco perché i lavoratori hanno deciso di intraprendere questa protesta estrema, sia per criticare la mancata promessa di Solinas che per sollevare l’attenzione nazionale sul problema di Portovesme.
Come si è giustificato?
Non ha detto niente, non è riuscito neanche a convocare un incontro, tenendo conto che ci sono quattro operai sopra una ciminiera esposti alle intemperie; perché lì sopra fa freddo eh, ricordo che stanno a 100 metri di altezza.
Insomma, l’incontro è riuscito a convocarlo il Governo ma non Solinas.
Si, da quanto ne sappiamo fino ad adesso non ci sono note delle iniziative formali del presidente.
Incredibile.
Assolutamente sì.
Neanche una lettera, una mail, un sms?
La Regione ha emesso una nota stampa dove si diceva solidale con i lavoratori. Mi pare un po’ pochino ecco, mettiamola così.
Ma è consapevole che questi operai sono sopra una torre di 100 metri anche a causa delle sue mancate parole e promesse?
Penso che lo sia ma non può riconoscerlo perché significherebbe ammettere apertamente la propria responsabilità. Sta lanciando un messaggio, che dice: ho cercato di fare del mio meglio, adesso è l’azienda che deve andare avanti. L’azienda dal canto suo rimbalza la palla, sostenendo che la responsabilità è della Regione. Stanno entrambi rimpallando le responsabilità, che è totalmente inaccettabile dal punto di vista di un lavoratore coinvolto. Che si mettano d’accordo.
Quindi anche l’azienda ha la sua fetta di responsabilità.
Ciò che sappiamo, come sindacato, è che tutte e due le parti hanno le loro responsabilità su questa vicenda, chi è il primo responsabile non importa, perché nel frattempo i lavoratori rischiano di perdere il lavoro. Già da oggi, primo marzo, sessanta dipendenti diretti di Portovesme s.r.l. che non lavorano nello stabilimento principale ma operano nella fonderia del comune di San Gavino, sono privi di lavoro.
Perché gli operai rimangono ancora sopra la torre? In fondo hanno ottenuto il tavolo dal governo e l’attenzione nazionale.
Come è evidente non basta convocare un incontro per dire che sarà positivo. Saranno i risultati di quell’incontro che faranno decidere agli operai se le ragioni della protesta sono venute meno oppure no. Se l’incontro sbloccherà positivamente la vertenza benissimo, altrimenti il quadro rimarrà complesso e i lavoratori decideranno come proseguire la protesta.
Emanuele Ghiani