In un recente articolo pubblicato da Il Messaggero, al quale ha risposto il Ministro Zangrillo in un’intervista, si è sostenuto che i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) permettono passaggi di area professionale basati sull’anzianità piuttosto che sul titolo di studio. Questa affermazione ha suscitato alcune critiche, specialmente da parte di esperti che ritengono che il CCNL non dovrebbe gestire le progressioni verticali di carriera.
Prima di trarre conclusioni affrettate, è utile fare un esame della normativa vigenti. L’articolo 52, comma 1, ultimo periodo, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 stabilisce che i CCNL possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti professionali, purché determinati requisiti di esperienza e competenza siano stati effettivamente applicati dalle amministrazioni per almeno cinque anni. Ciò è permesso anche in deroga ai titoli di studio normalmente richiesti.
Il CCNL delle funzioni centrali va oltre, specificando che fino al 31 dicembre 2024, le progressioni di carriera saranno effettuate seguendo una serie di criteri, dettagliati nella Tabella 3 del contratto, che includono sia l’esperienza lavorativa che il titolo di studio.
Le amministrazioni stesse hanno il compito di determinare i criteri di valutazione, assegnando un peso non inferiore al 25% a elementi come l’esperienza maturata, il titolo di studio e le competenze professionali. Come ho sempre sostenuto, il contratto è solo uno strumento; sta all’ente saperlo utilizzare efficacemente.
In conclusione, il CCNL non invade il campo delle progressioni di carriera, ma piuttosto ne definisce i contorni entro i quali esse possono avvenire. Queste procedure speciali saranno in vigore solo fino al 31 dicembre 2024 (per le funzioni centrali) e saranno applicabili esclusivamente durante la prima fase di implementazione del nuovo sistema di inquadramento professionale.
Antonio Naddeo – Presidente Aran