Con un percorso iniziato nel gennaio del 2017, dal 1° luglio è divenuto operativo “Previdenza Cooperativa”, il fondo unico di previdenza complementare intercategoriale per i lavoratori delle cooperative italiane, nato dalla fusione di Cooperlavoro, Previcooper e Filcoop. L’intento è quello di rafforzare maggiormente la previdenza complementare, e offrire un futuro pensionistico ancora più solido ai lavoratori. Ne abbiamo parlato con Sabina Valentini, responsabile delle relazioni industriali di Confcooperative.
Valentini qual è stato il percorso e le motivazioni che vi hanno portato a dar vita al fondo “Previdenza Cooperativa”?
Con l’avvento della previdenza complementare, noi individuammo tre settori cooperativi che attraverso i loro contratti nazionali potevano dar vita a un fondo pensione negoziale: l’agricoltura, il consumo e la distribuzione e quello della produzione lavoro e servizi. In particolare, questo ultimo fondo abbracciava molti settori. Con l’entrata in vigore della 252 del 2005, che ha riformato il sistema della previdenza complementare, abbiamo preso consapevolezza della crescita del settore, e come questo sviluppo poteva essere meglio strutturato attraverso un accorpamento dei tre fondi. Una convinzione che si è rafforzata negli anni successivi, anche a seguito delle modifiche, introdotte nel 2007, sulla destinazione del Tfr nelle imprese sopra i 49 addetti, che davano la possibilità di destinare queste somme alla previdenza complementare. C’è stata dunque una concatenazione di fattori esogeni che ci ha portato verso la fusione dei tre fondi, per dar vita a un’unica forza.
Quando è iniziato l’iter per la fusione?
Nel gennaio 2017 abbiamo siglato un accordo interconfederale con Cgil, Cisl e Uil, per poi confrontarci con tutte le 48 categorie interessate. Da lì è partito l’iter della fusione, che ha avuto il via libera anche dal Covip. Ora siamo nel periodo transitorio necessario per dare i nuovi assetti al Fondo che è nato il 25 giugno scorso ed è stato autorizzato all’operatività.
Quali effetti ha comportato la fusione?
Prima di tutto un maggior potere negoziale, inoltre un risparmio dei costi di gestione e un miglioramento delle performance dei rendimenti, tutto a vantaggio dei lavoratori iscritti.
Ci sono stati degli ostacoli da superare durante il percorso di unificazione dei tre fondi?
Tutte le operazioni molto complesse devono superare ostacoli nel loro percorso, è fisiologico. Ma se l’obiettivo ultimo è fortemente condiviso si riesce. Un connotato significativo è stato riuscire ad andare oltre le differenze settoriali/categoriali, agendo trasversalmente e condividendo la necessità dell’obiettivo comune con ogni comparto produttivo. Tutto questo ha richiesto tempo, e un’opera di convincimento sia sulle nostre aziende sia sui lavoratori, che dovevano fare un salto anche culturale privilegiando il fine comune e collettivo rispetto alle specificità di settore. Il risultato parla da solo.
Alcuni punti del percorso hanno evidenziato una maggiore criticità?
Non ci sono stati dei punti specifici, anche perché il cammino che poi ha portato alla fusione è stato condiviso da tutti gli attori coinvolti. Come dicevo lo scoglio principale è stato il cambio di paradigma culturale che imprese e lavoratori hanno dovuto affrontare. Ma è stato capito e sposato in toto.
C’è stata diffidenza nei confronti della previdenza complementare da parte di qualche sindacato?
Direi di no. Il sindacato ha compreso fin dall’inizio che i Fondi negoziali erano la strada maestra per dare ulteriori tutele ai lavoratori. Non dimentichiamo che la materia trova casa nei CCNL quale elemento di qualità delle regole negoziate. Le imprese cooperative hanno compreso immediatamente che contribuire alla pensione integrativa è un’azione che qualifica il lavoro dentro l’impresa. Oggi la pensione integrativa negoziale si affianca ad ulteriori voci di welfare contrattuale, cui le aziende contribuiscono per il benessere e la sicurezza dei loro lavoratori.
Dunque, piena collaborazione con la compagine sindacale, nonostante la complessità del percorso.
Le parti sociali hanno dimostrato piena sintonia nel raggiungere un obiettivo così importante, perché stiamo parlando di garantire un futuro pensionistico sereno ai nostri lavoratori, senza che si creino degli squilibri.
Negli ultimi dieci anni, fin dall’inizio della crisi finanziaria, c’è stato un incremento dei vostri tre fondi, sia in termini che di patrimonio. Come si spiega questo fatto?
Noi abbiamo sempre spinto affinché le nostre aziende cooperative comprendessero l’importanza della previdenza complementare e in questo senso abbiamo avuto risposte molto positive. Non bisogna dimenticare che stiamo parlando di fondi inseriti nel contratto nazionale e, quindi, le imprese cooperative hanno condiviso il percorso coscienti del fatto che l’istituto entrava a pieno titolo negli obblighi da rispettare.
Quali saranno i vostri prossimi passi?
Quando avremo i nuovi Organi del Fondo nei prossimi mesi, avvieremo un’intensa campagna di promozione dello strumento di sistema, con l’obiettivo di allargare la nostra platea e coprire quei segmenti ancora scoperti. Avere un unico fondo comporta, come dicevo, una forza maggiore per i nostri lavoratori.
La vostra fusione potrebbe dar vita a dei precedenti?
Noi lo auspichiamo. Al momento non credo che si siano fatte operazioni come la nostra, ma un buon esempio contiene un gran forza. Una cosa è certa: il nanismo di certi fondi previdenziali non è una caratteristica vincente. La stessa Covip ha più volte sottolineato questo punto.
Quale segnale avete voluto dare con la creazione di questo fondo unico?
Cerchiamo di instillare la cultura del risparmio nei lavoratori, e renderli consapevole dell’importanza della previdenza complementare, soprattutto nei giovani, oggi tutti a sistema contributivo per l’obbligatoria.
Tommaso Nutarelli