Poste italiane deve far fronte nel futuro prossimo venturo a una profonda modificazione dell’azienda, perché la tecnologia corre via veloce e perché si sta preparando un ricambio generazionale molto consistente. Per affrontare questi nodi, essenziali per il futuro dell’azienda, Poste italiane fa molto conto sulle relazioni industriali, che possono consentire il passo giusto per attivare questi cambiamenti. Relazioni portate avanti senza contrapposizione, dialogando, cercando assieme alla controparte sindacale la soluzione dei problemi senza conflitti e soprattutto senza inutili prove di forza. Ignazio Visco, che ha la responsabilità delle relazioni industriali in Poste italiane, ha la precisa sensazione di avere in mano una leva di prim’ordine, aiutato anche da un sindacato molto forte, ma anche pienamente responsabile della complessità delle prove che attendono l’azienda e della necessità di risolverle al meglio.
Vacca, qual è lo stato di salute delle relazioni industriali?
Per fare questa valutazione Poste italiane è certamente un osservatorio molto interessante, unico direi.
Perché unico?
Perché ha un tasso di sindacalizzazione molto alto, superiore all’80%. E perché questo sindacato, così forte, è particolare, ha molte sfaccettature diverse. Da un lato è un sindacato del lavoro impiegatizio, d’altronde rappresenta anche tantissimi lavoratori del recapito, o di stabilimento, immersi in quanto tali nella loro operatività. E’ un sindacato in larga prevalenza confederale, legato a Cisl, Cgil e Uil, ma con fortissime caratteristiche aziendali. Una situazione molto differenziata, proprio per questo ricca di spunti positivi.
Ma da questo osservatorio come vede le relazioni industriali?
In modo molto positivo, soprattutto perché siamo in un momento di cambiamento in cui la collaborazione prevale sul conflitto.
Tutto facile dunque?
No, la parte difficile viene quando si tratta di rendere la fisiologica collaborazione efficace per consentire le trasformazioni dell’azienda, che sono necessarie, ineludibili per la gravità della sfida in atto, e di farlo con il consenso.
Il consenso è indispensabile?
Sì, quello dei lavoratori prima ancora che quello del sindacato, perché questa è un’azienda che si trasforma trasformando il lavoro. Tutta l’azienda vive con e per il lavoro delle persone che la portano avanti. Senza coinvolgimento dei lavoratori le trasformazioni sono impossibili.
L’alto tasso di sindacalizzazione aiuta?
E’ certamente un vincolo, ma rappresenta anche un’opportunità se, attraverso il confronto con il sindacato, si riesce a coinvolgere i lavoratori nella trasformazione dell’azienda, mediando, come è giusto che sia.
Come si realizza questo coinvolgimento?
Senz’altro nel confronto quotidiano, nell’analizzare insieme e senza pregiudizi, tutti gli aspetti di business e organizzativi della vita aziendale, ma anche attivando al meglio le leve del sistema di relazioni confederale.
Pensa che sarebbe utile una maggiore presenza nella realtà di Confindustria?
E’ una delle cose che ci potrebbe aiutare. Noi siamo in Confindustria dal 2006, ma non abbiamo avuto sempre, in questi anni, una presenza costante, un impegno e un coinvolgimento adeguato, come il peso dell’azienda consentirebbe.
E questo vale anche per il sindacato?
Per le sue caratteristiche e per la sua mole organizzativa il sindacato, in Poste, è molto assorbito dalla dinamica aziendale, non tutti i problemi che incontriamo nel nostro confronto però si possono risolvere all’interno dell’azienda. Sono problemi che investono le regole del mercato, le attività dei concorrenti, dei partner, dei fornitori, la sfera previdenziale, problemi rispetto ai quali un raggio di azione più ampio è necessario, la dimensione confederale non sempre è sufficiente, ma a volte può aiutare ad allargare l’orizzonte.
Che vantaggi porta avere uno sguardo più ampio?
Per esempio aiuta a saperne di più del nostro settore, quello del servizio postale dove agiscono 2.500 operatori della gran parte dei quali non si sa nulla o quasi. Soggetti che Poste Italiane incrocia in vario modo, che però poco si conoscono, non si sa come lavorano, con quali contratti, in quale sistema di regole.
E non saperne di più è un danno?
Sì, perché la caratteristica distintiva dei nostri lavoratori, e in genere di chi opera in questo settore, è la prossimità, il rapporto diretto e di fiducia con il cittadino, che si fida di te, anche per la gestione di pratiche e di pagamenti delicati. Per questo serve un massimo di affidabilità e invece nel settore ci sono troppe zone grigie, che andrebbero regolate. Avere un maggiore impegno a livello confederale può aiutare a fare luce ed a regolare il settore.
Perché il vostro settore ha bisogno di una profonda ristrutturazione?
La tecnologia corre veloce, il servizio deve cambiare o non ha un futuro, ma lo deve fare contando su una profonda adesione, sul convincimento dei lavoratori, perché tutto il sistema si basa su persone che devono essere convinte e pratiche di tutto quello che gli è richiesto di fare, che non è poco. C’è molto lavoro da fare assieme, noi e il sindacato, per accompagnare tutto questo con regole chiare, eque e certe.
Quindi siete immersi in una profonda ristrutturazione del vostro operare.
Sì, e questo ci impegna anche perché siamo alle prese con un enorme processo di ricambio generazionale, sempre mantenendo suppergiù le attuali dimensioni aziendali. Ma questi nuovi lavoratori sono un libro tutto da scrivere, sono ragazzi bravissimi, con alle spalle in tanti casi un’esperienza di precarietà, per cui percepiscono il rischio, oltre che l’opportunità del lavoro fisso, della stabilità, del doversi adattare a un sistema meritocratico. Molti di loro sono più formati culturalmente rispetto alle mansioni che dovranno svolgere e quindi vanno inseriti anche in mestieri e percorsi che consentano lo sviluppo professionale.
Il famoso prato verde da esplorare.
Tutto questo pone all’azienda, ma anche al sindacato domande nuove. L’azienda deve capire quale è il mix tra flessibilità e tutela della forza lavoro, tra attenzione al merito o alla solidarietà, come va disegnato il welfare aziendale. E il sindacato si sta interrogando su come rappresentare questi nuovi lavoratori che hanno caratteristiche così diverse dal lavoratore fordista, su come costruire una vertenzialità collettiva ed elementi di solidarietà tra persone che il più delle volte sono abituate a vivere in maniera individuale e spesso destrutturata il rapporto con il lavoro in azienda.
Poste italiane ce la può fare a gestire al meglio questa situazione?
Sì, Poste può essere protagonista dell’innovazione. E può diventare un interessantissimo laboratorio delle nuove forme di lavoro e di relazioni industriali. Ma deve essere aiutata dal contesto istituzionale, italiano ed europeo. Il modello sociale europeo deve dare una cornice ed accompagnare gli Stati in queste trasformazioni, l’avvento dei nuovi soggetti, i cosiddetti “over the top”, deve consentire un cambiamento avvenga senza anarchia né dumping sociale.
Il sindacato è consapevole dell’imminenza di questa trasformazione?
Mi pare di sì, ho ascoltato da loro importanti riflessioni sul fatto che i mutamenti in atto ai diversi livelli non garantiscono la conservazione della realtà così com’è, né a livello aziendale, né a livello sindacale. Ma bisogna stare attenti a non farsi prendere in contropiede dalla velocità di queste trasformazioni. Bisogna quindi mantenere una pressione costante nel lavorare insieme, azienda e sindacati, ciascuno nel proprio ruolo, per fronteggiare i cambiamenti tecnologici e sociali che stanno modificando dall’esterno e dall’interno le nostre organizzazioni.