“CAMBIARE LE PENSIONI – DARE LAVORO AI GIOVANI”.
Uno slogan fasullo quello dei Sindacati, dove la seconda frase serve a giustificare, ma in realtà a dissimulare, l’obiettivo vero, quello enunciato nella prima.
Affermare che i giovani non trovano lavoro perché gli anziani non vanno in pensione è pura propaganda: argomento utile solo da usare in efficace alternanza con le geremiadi sugli ultracinquantenni che perdono il lavoro. Tuttavia non v’è contraddizione: ciò che si vuole non è che gli ultracinquantenni possano continuare a lavorare, ma che possano andare in pensione. Il fatto che “lascino” il posto a un giovane ne costituisce la copertura ideologica, tanto decorosa ai fini della propaganda quanto priva di qualunque riscontro reale.
Non esiste, da quando il taylorismo non è più il modello industriale, il turn over automatico, o comunque necessario, degli organici: la produzione industriale non avviene più tramite la catena di montaggio e la rigida ripartizioni delle mansioni tra i lavoratori, ma con modalità che enfatizzano la flessibilità, l’interazione, la partecipazione e la responsabilizzazione. Non a caso si va diffondendo lo smart working. Semplicemente, non esiste più la necessità di riempire la casella lasciata vuota da chi se ne è andato: non esiste più la casella!
Le competenze che l’impresa non può non rimpiazzare non sono molte, e non le rimpiazzano con giovani alla prima occupazione.
D’altra parte è ben noto che tutte le operazioni intese a incentivare assunzioni contro pensionamento sono fallite: dal tentativo mitterrandiano alla più recente (e banale) staffetta intergenerazionale. Viceversa, occorrerebbe riflettere sul fatto che la Germania ha simultaneamente un alto tasso di occupazione “anziana” e pochissima disoccupazione giovanile.
Ma, tornando al modello propugnato dai sindacati, l’unico effetto certo è che anticipare una pensione, anche con una penalizzazione, non comporta nel breve un risparmio ma un aumento di spesa, che determina un nuovo disavanzo. In ogni caso, più imposte per gli attivi e le giovani generazioni. Il sistema a ripartizione non ammette eccezioni…
Ciò detto, è legittimo (ma non sacro…) che il Sindacato consideri prioritario che i propri iscritti possano anticipare la pensione; però in questa impostazione le ricadute finanziarie sui bilanci INPS sono considerate variabili dipendenti da affrontare successivamente con strumenti da individuare, ma che non occorre molta fantasia per identificare in oneri a carico del debito pubblico. In sostanza ciò che si richiede è subordinare l’equilibrio della spesa pensionistica all’obiettivo politico che aggrega gli iscritti al Sindacato. E dunque abbassare le soglie per l’uscita dal lavoro diventa la priorità assoluta.
Non una parola invece viene spesa per dire come affrontare l’emergenza immediatamente successiva: quella dei lavoratori più giovani o di coloro che entreranno al lavoro in futuro, la cui pensione verrà calcolata per intero col contributivo, e che pertanto sconteranno, oltre a un tasso di sostituzione inferiore a quello di chi ha almeno in parte il retributivo, percorsi professionali discontinui che generano periodi di mancata copertura contributiva; e avranno molto meno perfino per quanto concerne la copertura figurativa garantita dagli ammortizzatori sociali.
Ma su questo tema il Sindacato non fa una proposta, non minaccia mobilitazioni, si accontenta di corrucciate denunce ma evita di avanzare una qualsivoglia proposta di merito, che non sia una rivendicazione general generica, la risposta alla quale è rimandata ad un oscuro futuro e non si sa a quale interlocutore.
E però, se si vuole avere una qualche rappresentanza anche in futuro, occorrerà prendere atto che questa è la vera emergenza e la priorità per Organizzazioni che si pensano come rappresentanze universali del lavoro, e operare di conseguenza. In alternativa c’è l’estinzione insieme alle classi di età del mondo del lavoro che si sceglie di privilegiare.