Le notizie sono tre. La prima è che il Coronavirus, anzi, il Covid-19, ha fatto il suo ingresso nel mondo dell’industria dell’auto a stelle e strisce. La seconda è che, anche oltre Oceano, il Covid-19 sta entrando a far parte delle materie oggetto di contrattazione sindacale. La terza è che, bruciando rapidamente diverse tappe, il Covid-19 è diventato anche oggetto e causa di un’intesa di tipo concertativo, abbastanza inedita per il sistema contrattuale degli Stati Uniti.
Partiamo dalla prima notizia. Tutto è cominciato giovedì 12 marzo quando Jodi Tinson, una portavoce di Fiat Chrysler, ha annunciato, via e.mail, che un lavoratore addetto all’impianto di Kokomo, nell’Indiana, era risultato positivo al coronavirus.
In omaggio alla privacy, l’Azienda non ha dato nessun dettaglio né sul lavoratore infettato, né su come fosse potuto entrare in contatto col virus. In compenso, la portavoce ha reso noto che la sua postazione di lavoro (work station) era stata disinfettata (disinfected) e che era in corso un’opera di sanificazione dell’intero stabilimento (is sanitizing the entire plant). Ciò detto, secondo quanto riportato lo stesso giovedì da Automotive News, a Kokomo “la produzione continua”.
Dopo aver ricordato che stiamo parlando di uno stabilimento di proporzioni considerevoli (4.000 addetti), e cui è assegnata una mission di rilievo strategico per il gruppo Fca (è specializzato nella produzione di impianti di trasmissione), sarà adesso il caso di sottolineare un altro passo del comunicato aziendale. Quello in cui si dice che i compagni di lavoro del dipendente colpito dal virus sono stati messi in quarantena.
Qui si passa, infatti, dalla prima alla seconda notizia. Perché a quel punto a Detroit, nella sede centrale della United Auto Workers, il sindacato nordamericano dei lavortaori dell’auto, qualcuno deve essersi chiesto: “E adesso cosa accadrà, da un punto di vista retributivo, ai lavoratori posti in quarantena?”. Ed è così, infatti, che il Covid-19 è diventato materia di contrattazione.
La UAW ha prontamente avviato negoziati con le tre grandi case costruttrici di autoveicoli basate a Detroit – e cioè General Motors, Ford Motor Company e Fiat Chrysler Automobiles – allo scopo di ottenere che ai lavoratori eventualmente posti in quarantena, ancorché asintomatici, sia assicurata la paga prevista per chi si trova in malattia.
E ciò proprio perché, come è scritto in un altro articolo uscito su Automotive News venerdì 13, e redatto da Michael Martinez grazie anche alla collaborazione di Hannah Lutz, nessuno degli accordi di gruppo firmati dalle Big Three con la UAW contempla in termini espliciti la figura dei cosiddetti “quarantined workers”, ovvero dei lavoratori posti in quarantena. Il che ha grande importanza in un sistema contrattuale in cui non esistono, così come accade nel modello europeo, i contratti nazionali di categoria, e in cui le relazioni sindacali sono disciplinate dalla contrattazione aziendale o di gruppo.
Ora va detto che la prima delle Big Three a rispondere positivamente alla richiesta sindacale è stata la General Motors che, già venerdì, ha accettato di equiparare i lavoratori posti in quarantena a quelli assenti per malattia. Ma gli eventi determinati dall’espansione dell’epidemia di Covid-19 hanno subìto, anche oltre Oceano, una fortissima accelerazione. Infatti, dopo solo due altre giornate, e cioè domenica 15 marzo, la stessa UAW e le tre case costruttrici sopra citate hanno annunciato la formazione di una task force espressamente dedicata al tema del Covid-19.
Più specificamente, da un comunicato pubblicato sul sito della United Auto Workers, si apprende che la stessa UAW, GM, Ford e FCA si accingono a formare la cosiddetta COVID-19/Coronavirus Task Force allo scopo di sviluppare iniziative e strumenti avanzati di protezione per i lavoratori addetti alla produzione e ai magazzini (“to implement enhanced protections for manufacturing and warehouse employees”).
Da notare che questa dizione, esplicitamente, fa riferimento solo a quei lavoratori che noi chiameremmo tute blu; insomma, operai addetti a officine e linee di montaggio, nonché a magazzini o piazzali posti a monte o a valle della produzione propriamente detta. A una prima occhiata, parrebbe quindi che sindacato e case costruttrici si disinteressino degli impiegati. Ma, con ogni probabilità, non è così. Infatti, già venerdì 13 sia Ford che GM avevano annunciato di aver dato mandato alla maggior parte dei propri impiegati di cominciare a lavorare da casa a partire da lunedì 16, mentre FCA aveva preceduto le due case concorrenti su questa stessa strada.
Ciò detto, ci sono due altri aspetti che vanno sottolineati in questa iniziativa congiunta. Il primo aspetto è quello relativo ai nomi coinvolti nell’iniziativa stessa. Infatti, è stato annunciato che a capo della Task Force ci saranno Rory Gamble, il nuovo Presidente della United Auto Workers; Mary Barra, Presidente e Amministratore delegato di GM; Bill Ford e Jim Hackett, rispettivamente Presidente Esecutivo e Presidente e Amministratore delegato di Ford; e Mike Manley, Amministratore delegato di FCA. Insomma, i capi dei capi. Il che lascia intendere che ai piani alti di Detroit venga data massima importanza a questa iniziativa.
Infatti, in un comunicato congiunto si afferma che la situazione che case costruttrici e sindacato intendono fronteggiare è, allo stesso tempo, “fluida e priva di precedenti” e che la Task Force dovrà “agire in fretta per mettere in piedi misure preventive a largo raggio”.
Il secondo aspetto su cui intendiamo richiamare l’attenzione dei nostri lettori è che, come abbiamo appena detto, per annunciare la nascita della Task Force, i quattro soggetti citati, e cioè UAW, GM, Ford e FCA, siano ricorsi al lancio di un comunicato congiunto. Il che, come ha notato anche Matthew DeBord su businessinsider.com nella giornata di lunedì 16, è cosa assolutamente non usuale (“unusual”) rispetto alle abitudini statunitensi.
Dopodiché, si può dire che, al di là dell’importanza politica che l’iniziativa congiunta di cui stiamo parlando ha in sé e per sé, i suoi contenuti non vanno molto al di là del buon senso.
Per quel che si comprende guardando alla Task Force dall’Europa, e cioè da un continente in cui la produzione di autovetture si sta sostanzialmente fermando per un tempo al momento difficile da definire, lo scopo ultimo dell’iniziativa assunta a Detroit pare essere quello di andare avanti con tale produzione, ma con modalità che siano capaci di evitare che la diffusione del Covid-19 raggiunga il personale addetto a presse e linee di montaggio.
In pratica, la task force si propone di limitare in modo ragionato l’accesso di visitatori agli stabilimenti, sviluppare – all’interno degli stabilimenti stessi – le operazioni di pulizia e di sanificazione delle diverse aree, e implementare i protocolli sanitari cui dovranno attenersi i dipendenti potenzialmente più esposti al contagio, così come quelli che dovessero manifestare sintomi di tipo influenzale. A ciò si aggiungerà una crescita del distanziamento fra le persone, iniziative di educazione sanitaria, e aggiornamento continuo dei lavoratori.
Insomma, forse non molto in una situazione in cui, lunedì 16, la breaking news sul sito di Automotive News (autonews.com) era relativa alla crescita del numero dei contagiati nel Michigan, lo Stato in cui sorge Detroit, salito a 53 casi. Ma speriamo di sbagliarci.
Un’ultima curiosità di tipo linguistico. Le varie fonti statunitensi che abbiamo consultato, per parlare di ciò che noi chiamiamo telelavoro usano espressioni come to work from home (lavorare da casa) o to work remote (lavorare da remoto). Sembra che l’American English usato da giornalisti, sindacalisti e imprese non conosca quelle espressioni di un ipotetico italo-inglese – come smart work, smart working, o lavoro agile – che sono diventate di gran voga da noi, fino ad essere incluse nell’ormai famoso Protocollo del 14 marzo 2020.
@Fernando_Liuzzi