di Claudio Pellegrini
Il 17 Dicembre 2015 a Roma, nella sede del Cnel, si è svolto un seminario per la presentazione dei dati (ancora provvisori) relativi all’indagine sulla contrattazione decentrata che è stata realizzata dall’Istat.
Il tema è di grandissima importanza, mancava infatti un’approfondita indagine Istat sull’argomento per colmare un vuoto di conoscenza veramente colpevole ed incomprensibile, considerando che la discussione sulla struttura contrattuale si è protratta per anni in Italia. Le controversie sono note mentre resta il ritardo con cui si è arrivati a un’ indagine di fonte ufficiale.
Il campione è relativo a imprese con più di 10 dipendenti in settori pubblici e privati con esclusione dell’agricoltura e della Pubblica Amministrazione in senso stretto, i risultati saranno statisticamente significativi per settore economico a due digits, per le cinque ripartizioni territoriali e per classificazione dei dipendenti (cinque categorie).
E’ utile fornire il link per scaricare la presentazione di tutti gli interventi del seminario dal sito Cnel. (http://www.cnel.it/53?shadow_documenti=23590). Particolarmente interessante è stato il contributo della dott.ssa Stefania Cardinaleschi dell’Istat che ha presentato i dati preliminari dell’indagine. Quest’ultima farà parte di un programma di regolare rilevazione che consentirà di stimare la percentuale d’imprese dove è presente contrattazione collettiva di secondo livello e la diffusione delle strutture sindacali. I dati sulla contrattazione saranno anche collegati con le performance aziendali e con i dati Inps che consentono di valutare la diffusione dei premi di risultato.
E’ molto utile esaminare in dettaglio il questionario per poter capire le possibilità di ricerca che l’analisi dei micro-dati può consentire. A questo proposito sarebbe opportuno che l’Istat metta presto a disposizione i micro-dati, dopo aver assicurato l’anonimato delle risposte, per dare la possibilità agli studiosi di relazioni industriali e agli esperti delle parti sociali di approfondire in base ai propri interessi specifici i vari contenuti del questionario. Questo è il modo migliore per favorire la crescita di un dibattito informato sulla tematica della contrattazione.
In primo luogo esaminiamo i dati della diffusione della contrattazione aziendale e dell’impatto economico. In seguito si confronteranno anche i risultati di questa indagine con precedenti ricerche fatte con campioni, e metodi diversi in vari anni.
Diffusione della contrattazione aziendale
Alcune tabelle presentate nel convegno sono di semplice lettura. Per altre sarà opportuno aspettare il rapporto completo perché ci sono molti aspetti che devono essere approfonditi.
Relativamente alla diffusione della contrattazione nazionale l’indagine ha confermato la quasi universale presenza di questa tipo di contrattazione. In tutti i settori produttivi circa il 95% delle imprese applica questo livello di contrattazione.
La contrattazione collettiva di secondo livello (quindi contrattazione aziendale, territoriale, di gruppo e di stabilimento) risulta presente nel 15,8% dei casi (pag. 20 presentazione dott.ssa Cardinaleschi). Come prevedibile la contrattazione collettiva è più frequente con il crescere della dimensione aziendale. Nella fascia 10-49 la percentuale è pari a 11,9% mentre nelle imprese più grandi (con più di 500 dipendenti) si arriva a 65,6%. Ci sono anche notevoli differenze territoriali: 19,6% al Nord e 6,1% al Sud. Anche nei settori produttivi le differenze sono significative: 19,7% nell’industria in senso stretto, 11,7% nei servizi orientati al mercato. Parte di queste differenze sono probabilmente legate alle diverse dimensioni aziendali presenti e quindi solo nel rapporto finale si potrà conoscere quali sono le differenze a parità di dimensione, localizzazione ed altre variabili strutturali.
La contrattazione integrativa si riscontra nel 29% delle imprese, ma non tutta è contrattazione collettiva. Nella contrattazione integrativa ci sono le seguenti modalità:
Tab.1 Modalità di contrattazione integrativa
Contrattazione aziendale 30%
Contrattazione territoriale 23%
Contrattazione di gruppo 1%
Contrattazione di stabilimento 2%
Contrattazione individuale 40%
Altro 4%
Totale 100%
Esiste quindi una contrattazione integrativa individuale che viene stimata al 40% del totale. E’ questo un segno preoccupante per chi ritiene che la contrattazione collettiva debba svolgere un ruolo prevalente nella rappresentanza degli interessi dei dipendenti; senz’altro questa informazione deve far suonare un campanello di allarme per i sindacati, perché evidentemente lo spazio di aggiustamento dalla contrattazione nazionale alla realtà lavorativa viene in una parte consistente svolta attraverso contrattazione individuale. E’ prevedibile che questa contrattazione individuale copra anche aspetti di natura retributiva, di conseguenza l’obiettivo del sindacato di essere autorità salariale è messa fortemente in pericolo da questa situazione. D’altra parte un simile margine lasciato alla contrattazione individuale può aprire spazi significativi alle politiche di risorse umane non contrattate ma gestite dall’azienda. In che misura i criteri adottati dalla imprese sono paternalistici e incoerenti? Si basano su obiettivi criteri d’incentivazione che tengono conto delle reali caratteristiche del mercato del lavoro e della organizzazione produttiva? Sarà interessante vedere le categorie professionali in cui la contrattazione individuale gioca un ruolo maggiore. Ricordiamo che, ad esempio negli Stati Uniti dove è presente il sindacato la contrattazione individuale non è permessa.
La presenza di contrattazione integrativa collettiva non è la stessa per i vari contratti collettivi nazionali. Nell’indagine sono individuati 200 contratti collettivi nazionali: esaminiamo la situazione in alcuni di essi.
1) C.C.N.L. per i dipendenti dalle aziende metal meccaniche private e dell’installazione d’impianti. E’ presente nel 12,3 % delle imprese analizzate. In quelle che hanno questo contratto (come il principale) la presenza della contrattazione di secondo livello è pari a 33,9%, questa è la percentuale più alta nei contratti integrativi collettivi presenti. Questi contratti integrativi costituiscono il 15,88% di tutti quelli rilevati.
2) C.C.N.L. per i dipendenti dalle aziende del terziario: distribuzione e servizi. Questo contratto nazionale è quello presente con maggiore frequenza (21.3%) ma solo il 18.24% delle aziende che lo applica ha la contrattazione di secondo livello; nell’insieme questi contratti aziendali costituiscono il 14,83% del totale.
3) C.C.N.L. per i dipendenti dalle imprese edili ed affini. Questo contratto è applicato nel 4.5% delle imprese ma tra di esse nel 37.14% dei casi esiste una contrattazione di secondo livello che in questo caso è probabilmente contrattazione integrativa di carattere territoriale provinciale. I contratti di secondo livello nel settore dell’edilizia sono il 6.33% di tutti i contratti decentrati. Il settore dell’edilizia però ha una struttura d’imprese ed una storia contrattuale molto specifica che per essere compresa richiederebbe una indagine ad hoc.
4) C.C.N.L. per gli addetti alle industrie chimiche, chimiche-farmaceutiche del cellofan, dielettiche e dei materiali isolanti ed affini; olearie, margarine e coibentazione. Questo contratto nazionale è applicato solo nel 1.3% delle imprese ma la contrattazione di secondo livello è molto frequente (46.8%), probabilmente per la dimensione delle imprese, questi contratti sono solo il 2.32% dell’insieme dei contratti di secondo livello.
Impatto della contrattazione di secondo livello sulla retribuzione
Quanto incide la contrattazione collettiva di secondo livello sulla retribuzione? Riportiamo (Tab.2) i dati presentati nel seminario (presentazione Cardinaleschi pag.22). In base alle semplici medie la contrattazione di secondo livello aggiunge mediamente 4.674 euro alla retribuzione annuale (+16 %), con differenze nei diversi settori. Tuttavia queste medie richiedono elaborazioni molto più sofisticate per riuscire a mettere in evidenza l’impatto della contrattazione a parità di condizioni. E’ evidente che la maggiore retribuzione che si associa alla contrattazione aziendale sia correlata alle maggiori dimensioni d’impresa dove in genere la retribuzione è più elevata. Le stesse caratteristiche del capitale umano presente nelle imprese più grandi può essere alla base delle differenze retributive riscontrate. Nelle imprese più grandi ci sono titoli d’istruzione più elevati ed anche investimenti in capitale fisso più consistenti. L’impresa più grande può selezionare lavoratori più produttivi anche in relazione alle retribuzioni maggiori che è in grado di offrire. Nell’analisi multivariata che verrà presentata nel rapporto finale si potrà valutare più precisamente l’impatto della contrattazione aziendale a parità di condizioni.
Tab.2 Retribuzioni annuali medie per dipendente in euro
A B B/A B-A
Contratto Nazionale Contratt. 2 livello
Industria in senso stretto 31450 34922 1,11 3472
Costruzioni 28399 32526 1,15 4127
Servizi orientati al mercato 28978 34170 1,18 5192
Servizi sociali e personali 21014 25148 1,20 4134
Totale 29304 33978 1,16 4674
La sindacalizzazione
L’indagine ha consentito anche una rilevazione del tasso d’iscrizione al sindacato (Tab.3),così come riportato dall’impresa che ha compilato il questionario (la domanda era la seguente: numero delle quote sindacali raccolte sui dipendenti)
Il tasso medio del 31,6% ha una variazione in base ai settori: si va dal 18, 8% del commercio al 55,5% delle attività finanziarie. Bisogna considerare che sono esclusi tutti coloro che lavorano in imprese con meno di 10 addetti dove la presenza del sindacato è molto ridotta. In Italia nella fascia con 2-9 addetti abbiamo circa 5 milioni di occupati. Manca invece la Pubblica Amministrazione dove invece la presenza del sindacato è in genere maggiore. Naturalmente ci saranno differenze in base alla localizzazione geografica e alla dimensione aziendale. La presentazione dei dati definitivi darà senz’altro informazioni in materia.
Tuttavia per poter aver una stima più puntuale della presenza del sindacato sarebbe opportuno inserire una domanda specifica nelle rilevazioni delle forze di lavoro. La risposta darebbe la possibilità di incrociare il dato con tutte le altre variabili che sono contenute nell’indagine e consentirebbe di avere una visione nuova e più approfondita del fenomeno sindacale. In altri paesi questo è stato fatto e sarebbe ora che questo avvenisse anche in Italia.
L’indagine rileva anche la presenza di strutture sindacali (Rsu oppure Rsa). La media è solo il 12% circa, ovviamente questa percentuale cresce con la dimensione e si passa da 8% circa nelle aziende più piccole fino 60% nelle aziende con oltre 500 addetti (Tab.4). E’ tuttavia da segnalare che nel 40% di aziende con oltre 500 addetti, che nel nostre paese non sono numerose e sono senz’altro di alta visibilità, non esistono strutture sindacali.
Tab.3 Tasso di sindacalizzazione per sezione di attività economica
Sezione di attività economica Tasso di sindacalizzazione
G – Commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli 18.8
M – Attività professionali, scientifiche e tecniche 23.5
F – Costruzioni 23.7
J – Servizi di informazione e comunicazione 24.6
R – Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento 24.6
P – Istruzione 25.5
S – Altre attività di servizi 27.8
Q – Sanita’ e assistenza sociale 28.3
L – Attivita’ immobiliari 28.5
I – Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione 30.7
N – Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese 31.3
C – Attività manifatturiere 31.4
MEDIA 31.6
H – Trasporto e magazzinaggio 40.1
B – Estrazione di minerali da cave e miniere 42.3
E – Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento 44.5
D – Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata 45.6
K – Attività finanziarie ed assicurative 55.5
Tab. 4 Presenza di strutture sindacali in base alla dimensione
10-49 50-199 200-499 500 e oltre MEDIA
Totale
RSA 7.5 34.7 58.8 61.5 12.1
RSU 8.4 28.3 41.9 57.7 11.8
Confronti con altri indagini
Per fare un confronto con precedenti indagini ISTAT occorre risalire alla pubblicazione La Flessibilità nel mercato del lavoro nel periodo 1995-1996 pubblicata nel 2000. In questa ricerca era presente anche una domanda sulla contrattazione aziendale e i risultati sono di seguito presentati. Nel periodo considerato la percentuale d’imprese coinvolte da contrattazione era pari a 9,9% ma nell’industria si arrivava a 12,1% mentre nelle imprese più grandi si superava il 60%.
La differenza tra le due rilevazioni, a favore dell’ultima è probabilmente dovuta alla diversa finalità dei due questionari. Nella più recente la rilevazione della contrattazione aziendale è l’obiettivo centrale e quindi è stata rilevata con maggiore cura, mentre per i dati relativi al 1995-96 una sola domanda era relativa alla contrattazione aziendale.
Il rapporto relativo agli anni 1995-96 conteneva anche un’informazione utile relativa al numero di dipendenti coinvolti da contrattazione aziendale. Questo dato purtroppo non è presente nella recente indagine. La percentuale dei dipendenti era pari al 38,8% ma occorre tenere presente che erano escluse le imprese con meno di 10 addetti.
Tab. 5 – | Imprese e dipendenti interessati dalla contrattazione aziendale nel periodo 1995-96 per classe di dipendenti, attività economica e ripartizione territoriale (valori assoluti e incidenza percentuale) | ||||||||||||||||||
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CLASSE DI DIPENDENTI | IMPRESE |
| DIPENDENTI |
| DIMENSIONE MEDIA DELL’IMPRESA |
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| Di cui coinvolte da contrattazione | Incidenza |
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| Di cui coinvolti da contrattazione | Incidenza |
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| Di cui coinvolte da contrattazione |
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Totale | percentuale |
| Totale | percentuale |
| Totale |
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| (a) |
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| (b) |
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| (c) |
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| ITALIA |
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| INDUSTRIA |
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10-19 | 77.164 | 3.335 | 4,3 |
| 968.375 | 53.493 | 5,5 |
| 13 | 16 |
| ||||||||
20-49 | 28.263 | 4.949 | 17,5 |
| 845.382 | 161.901 | 19,2 |
| 30 | 33 |
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50-199 | 11.002 | 4.675 | 42,5 |
| 980.934 | 464.312 | 47,3 |
| 89 | 99 |
| ||||||||
200-499 | 1.966 | 984 | 50,1 |
| 551.216 | 289.442 | 52,5 |
| 280 | 294 |
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500 e più | 620 | 410 | 66,1 |
| 921.811 | 675.729 | 73,3 |
| 1.487 | 1.648 |
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Totale | 119.014 | 14.353 | 12,1 |
| 4.267.718 | 1.644.876 | 38,5 |
| 36 | 115 |
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% di colonna | 60,0 |
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| 51,6 |
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| SERVIZI |
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10-19 | 53.162 | 1.244 | 2,3 |
| 636.018 | 17.807 | 2,8 |
| 12 | 14 |
| ||||||||
20-49 | 17.102 | 1.635 | 9,6 |
| 510.072 | 51.409 | 10,1 |
| 30 | 31 |
| ||||||||
50-199 | 6.872 | 1.372 | 20,0 |
| 625.789 | 135.422 | 21,6 |
| 91 | 99 |
| ||||||||
200-499 | 1.189 | 425 | 35,7 |
| 352.611 | 123.987 | 35,2 |
| 297 | 292 |
| ||||||||
500 e più | 892 | 532 | 59,6 |
| 1.872.188 | 1.231.845 | 65,8 |
| 2.099 | 2.316 |
| ||||||||
Totale | 79.217 | 5.207 | 6,6 |
| 3.996.678 | 1.560.469 | 39,0 |
| 50 | 300 |
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% di colonna | 40,0 |
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| 48,4 |
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| TOTALE |
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10-19 | 130.326 | 4.579 | 3,5 |
| 1.604.393 | 71.300 | 4,4 |
| 12 | 16 |
| ||||||||
20-49 | 45.365 | 6.584 | 14,5 |
| 1.355.455 | 213.309 | 15,7 |
| 30 | 32 |
| ||||||||
50-199 | 17.874 | 6.047 | 33,8 |
| 1.606.723 | 599.734 | 37,3 |
| 90 | 99 |
| ||||||||
200-499 | 3.155 | 1.409 | 44,7 |
| 903.827 | 413.429 | 45,7 |
| 287 | 293 |
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500 e più | 1.512 | 942 | 62,3 |
| 2.793.999 | 1.907.574 | 68,3 |
| 1.848 | 2.026 |
| ||||||||
Totale | 198.232 | 19.560 | 9,9 |
| 8.264.397 | 3.205.346 | 38,8 |
| 42 | 164 |
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% di colonna | 100,0 |
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| 100,0 |
| 100,0 |
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(a) Imprese coinvolte dalla contrattazione in percentuale delle imprese totali |
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(b) Dipendenti delle imprese coinvolte dalla contrattazione in percentuale dei dipendenti del totale delle imprese |
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(c) Rapporto tra numero dipendenti e numero d’imprese |
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Fonte: ISTAT (2000) La Flessibilità nel mercato del lavoro nel periodo 1995-1996. (Tabella1)
Molto più utile per un raffronto con dati recenti è la ricerca condotta sui dati INVIND della Banca d’Italia da Francesco D’Amuri e Cristina Giorgiantonio,“Diffusione e prospettive della contrattazione aziendale in Italia”,Questioni di Economia e Finanza, Luglio 2014 n. 221, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2014-0221/index.html
Dall’indagine risulta che la diffusione della contrattazione coinvolge il 21% delle aziende, nell’industria la percentuale sale a 24 e nelle aziende con oltre 200 addetti si arriva a 55%. L’indagine indica anche i casi in cui la contrattazione aziendale contiene clausole relative alla partecipazione dei risultati: 40 % nelle aziende più grandi e 15% nella media. In questa indagine sono incluse solo le imprese con più di 20 addetti.
Tab. 6 Diffusione della contrattazione aziendale integrativa, anno 2010
Valori espressi in punti percentuali
SETTORE ADDETTI SINDACATO
TOT. ISS Servizi 20-50 50-200 200+ Si No
Contratto Aziendale (CA) 21 24 18 13 35 55 25 3
CA con modifica organizzativa 2 1 2 1 3 7 2 0
CA con partecipazione risultati 15 18 11 9 26 40 18 2
Osservazioni numero 3510 2564 946 1338 1295 877 2991 519
ISS= Industria in senso stretto
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (INVIND). Tavola 7
Relativamente alla retribuzione nel periodo 2002-2012, la quota del salario eccedente i minimi sul totale della retribuzione era pari in media al 10,5 % (Tavola 5), più elevata tra gli impiegati (12,4%) e maggiore nelle aziende più grandi.
L’indagine rileva anche una forte insoddisfazione sugli attuali assetti contrattuali. L’insoddisfazione è mediamente 30 % ma nelle grandi imprese arriva al 46%.
Tab.7 La quota del salario eccedente i minimi da Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro sul totale della retribuzione (anni 2002 – 2012)
Valori espressi in punti percentuali
Categoria Operai Impiegati Totale Osserv.
Totale 9,5 12,4 10,5 30726
20-50 addetti 9,2 11,6 9,7 12259
50-200 addetti 9,8 13,6 11,4 11383
200+ addetti 11,9 17,6 14,6 7084
ISS 9,2 13,8 11,1 22650
Servizi 10,1 10,9 9,7 8076
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (INVIND). Tavola 5
Poiché i dati sulla contrattazione aziendale sono molto legati alla dimensione ci sembra utile riportare i dati ISTAT relativi alla distribuzione degli addetti relativi al 2011 (Tab.8). Il 95% delle imprese e il 46% degli addetti sono nella classe al di sotto di 10. Più un terzo dei dipendenti sono invece nella classe che supera i 50 ed è questa la fascia che più si presta ad una diffusione della contrattazione collettiva di secondo livello di carattere aziendale.
Tab.8 – Imprese e addetti per classi di addetti e settore di attività economica – Anno 2011(valori assoluti) |
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CLASSI DI ADDETTI (a) |
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| Industria in senso stretto | Totale | Totale |
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| Imprese | Addetti | % Addetti | Imprese | Addetti | % Addetti | ||||||||
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1 | 153.224 | 139.970 | 3,31 | 2.655.768 | 2.480.178 | 14,70 |
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2-9 | 211.912 | 850.650 | 20,11 | 1.578.054 | 5.341.753 | 31,65 |
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% meno 10 | 82,41 | 23,42 |
| 95,12 | 46,35 |
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10-19 | 45.215 | 603.231 | 14,26 | 137.212 | 1.795.963 | 10,64 |
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20-49 | 21.809 | 656.281 | 15,52 | 54.218 | 1.613.195 | 9,56 |
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50-249 | 9.496 | 923.692 | 21,84 | 22.039 | 2.125.788 | 12,60 |
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250 e più | 1.416 | 1.055.880 | 24,96 | 3.646 | 3.520.706 | 20,86 |
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Totale | 443.072 | 4.229.705 | 100 | 4.450.937 | 16.877.583 | 100 |
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Fonte: Istat, Archivio Statistico delle Imprese Attive Tavola 1 |
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Mentre le indagini campionarie sulla contrattazione aziendale sono state carenti proprio nel periodo in cui più accesso è stato il confronto sulla struttura contrattuale non mancano raccolte di contratti aziendali. Nell’archivio della contrattazione del Cnel relativamente al settore privato ci sono circa 1.000 accordi per il periodo 2002-2009. (http://www.cnel.it/347?contrattazione_testo=45). Sono anche disponibili studi sui contenuti della contrattazione aziendale in particolare l’osservatorio OCSEL della CISL(http://www.cisl.it/sito-industria.nsf/viste/report?OpenDocument).
I risultati della recente indagine Istat saranno quindi molti utili per affrontare in modo costruttivo un aspetto centrale delle relazioni industriali quello della struttura contrattuale e del ruolo che i vari livelli debbono svolgere. Su questo argomento è opportuno fare una ultima precisazione. La ricerca di Calmfors e Driffill (Calmfors, Lars e Driffill, John, 1988, “Bargaining Structure, Corporatism and Macroeconomic Performance”,Economic Policy 3/6: 13–61) basata su dati degli anni ottanta indicava come virtuosi i sistemi contrattuali decentrati e centralizzati mentre quelli di tipo intermedio, basati sulla contrattazione settoriale nazionale, venivano considerati più propensi a portare inflazione e disoccupazione. Questa ipotesi è stata sottoposta a moltissime ricerche di verifica ed ha avuto il merito di mettere in evidenza le difficoltà che esistono nella classificazione delle strutture contrattuali e nella misurazione degli effetti. Dopo molti anni uno degli autori (Driffill, J. 2006, “The Centralization of Wage Bargaining Revisited: What Have we Learnt?” Journal of Common Market Studies, 44(4): 731-756),sulla base delle ricerche condotte, concludeva che non esistono modelli contrattuali virtuosi, troppe sono le variabili da considerare e le situazioni specifiche nei vari contesti. Le ricerche fatte davano risultati contraddittori, solo i sistemi centralizzati erano più frequentemente associati con risultati macroeconomici positivi. Il dibattitto sugli assetti contrattuali che verrà sicuramente alimentato dalla nuova ricerca Istat dovrà tenere presente quanto emerso dalla ricerca comparata e contribuire a trovare una soluzione adatta alle specificità italiane.
Claudio Pellegrini, Università La Sapienza di Roma