Recentemente sulla stampa è apparsa la notizia che due terzi dell’IRPEF sono pagati dal 13% dei contribuenti che guadagnano più di 2000 euro netti al mese, la fonte è quella del rapporto di Itinerari Previdenziali.
Per la verità non si tratta di una notizia vera e propria, nel senso che da anni questo squilibrio relativo alla tassazione nei confronti dei redditi medi è un dato ormai acclarato.
Quello che è meno noto è la situazione che si nasconde dietro questa notizia, si tratta di una vera e propria ingiustizia fiscale ai danni non dei redditi bassi, ma paradossalmente ai danni di quelli medio alti.
Provo ad essere più preciso.
Il reddito netto di 2000 euro mensili corrisponde a quello di un lavoratore, con moglie a carico ma nessun figlio, il cui reddito lordo è pari a 35000 euro (per la precisione in questo caso lo stipendio netto sarebbe di 1954 euro mensili).
Incrociando altri dati, ad esempio quelli dei redditi 2020 fonte ISTAT, si riscontra che il reddito medio del lavoro autonomo è pari a 24885 euro.
Nello stesso anno, per questa tipologia di lavoratori, si è verificato un aumento della classe di reddito sotto i 10000 euro annui dal 35,5% al 41,7%, ossia quasi la metà dei lavoratori autonomi ha denunciato un reddito pari a meno di 1000 euro netti al mese.
Potrebbe essere stata l’epidemia del Covid a falcidiare questi redditi, ma più di una domanda sorge spontanea a chi legge i dati da poco pubblicati sulle dichiarazioni Irpef 2022 relative ai redditi 2021.
A leggere quelle dichiarazioni l’Italia non appare certo un paese sviluppato. Su poco più di 41 milioni di contribuenti, solo 31 milioni sono quelli che versano almeno 1 euro. Tra coloro che pagano, quasi 18 milioni dichiarano un reddito inferiore a 15.000 euro e versano l’1,1% del totale dell”Irpef.
23 milioni quelli che dichiarano meno di 20.000 euro e che versano il 6,3% del totale dell’imposta.
Poi scorrendo sempre le dichiarazioni Irpef vediamo che tra i 35.000 e i 50.000 euro di reddito vi sono 3,2 milioni di contribuenti (7,9% del totale) che versano il 18,6% dell’imposta e che sopra i 50.000 euro vi sono 2,5 milioni di contribuenti (6,1%) che versano il 45,8%.
Secondo quanto riportato sull’inserto del Corriere Economia di lunedi 6 novembre scorso: l’economia sommersa è pari a 192 miliardi, l’evasione ormai stabile a 100 miliardi.
Ci sono 5 milioni di poveri (dato Istat) ed Eurostat dichiara che il 60% delle famiglie italiane fatica ad arrivare a fine mese, contemporaneamente poco meno di 2 mila miliardi liquidi sono parcheggiati sui conti correnti di famiglie e imprese, sono le stesse famiglie che dispongono di una ricchezza di 5300 miliardi (quattro volte il PIL).
Scusate ma qualcosa non torna? Quale è la vera realtà dell’Italia? È tutto spiegabile con l’affermazione (poco provata) che i ricchi son sempre più ricchi? Oppure la spiegazione della iniqua distribuzione della ricchezza rischia di omettere dei dati che sono, almeno una parziale, smentita di queste affermazioni?
Sulla base, appunto, di questa facile narrazione che accomuna populisti, una certa sinistra, ora anche il governo di centro destra ha realizzato una manovra della Legge di Bilancio che perpetua la narrazione di non agevolare i redditi “ricchi”.
Quindi accanto all’accorpamento delle aliquote, che in teoria dovrebbe dare un beneficio massimo di 260 euro annui ai redditi (dichiarati) di 50.000 euro lordi decide di tagliare per gli stessi 260 euro di detrazioni.
Siamo sicuri che questa sia giustizia fiscale? E non invece accanimento esclusivo sui redditi dichiarati e non su quelli reali?
Tralascio per carità di Patria le conseguenze che si hanno sulla base dei redditi dichiarati ISE per quanto riguarda le agevolazioni sulle tasse scolastiche ed altre agevolazioni ad essa collegate, senza che risulti alcun controllo.
Forse prima o poi questi dipendenti e pensionati, potrebbero stancarsi di essere loro a mantenere buona parte dello stato sociale di questo Paese.
Luigi Marelli