“Uno squilibrio fra ricchi e poveri è la malattia più antica e più fatale di tutte le repubbliche” sosteneva lo storico greco Plutarco. Da tempo abbiamo compreso però che non è un destino ineluttabile, specie se non si trascura il fatto che il fenomeno delle diseguaglianze è in agguato anche nei processi innovativi come si sta rivelando la stessa transizione energetica.
Il campanello d’allarme non poteva essere più eloquente visto che ha preso le sembianze degli aumenti dell’energia elettrica e del gas (10% e 15%). Ed i rischi non sono finiti qui, dato che l’aumento consistente delle materie prime preoccupa i mercati e getta ombre inevitabili sulle sorti della ripresa economica in Europa come da noi.
I costi delle materie prima, come ormai si osserva da più parti, sono un problema che ormai è ben oltre la punta di un iceberg: intanto perché chiama in causa la geopolitica, con il confronto-scontro ad esempio fra Usa e Cina ma anche con la caccia a giacimenti sempre più lontani e costosi. Ma al tempo stesso l’aumento di quei costi si rovescia a cascata su tutti gli altri segmenti del processo economico, dalla lavorazione ai trasporti fino al prezzo finale, con la conseguenza di condizionare se non altro la sostenibilità economica della transizione verso le energie rinnovabili.
Questo scenario inesorabilmente va ad intrecciarsi con i problemi occupazionali stretti fra la chiusura di attività considerate obsolete e l’avvio di nuove produzioni gravate però di costi non certamente leggeri.
Abbiamo anche letto posizioni molto pessimistiche in proposito. Non solo anche dal vertice dell’Eni si mette in guardia da due tendenze considerate pericolose: un Green Deal troppo radicale nei tempi e nelle scelte dell’Europa mentre il resto delle altre potenze in campo si muovono diversamente; ricadute sulle imprese più energivore assai pesanti e di conseguenza con impatti negativi sul lavoro.
E’ ovvio che alla lunga i benefici della transizione energetica saranno in grado di evitare il disastro ambientale e potranno divenire la base per una economia ed una sostenibilità di diversa e migliore qualità. Ma non va trascurato il percorso e le difficoltà cui si andrà incontro e che potrebbero anche in questo caso accentuare diseguaglianze e disagio economico e sociale cui sarà poi assai difficile porre rimedio.
Ma di questi problemi soprattutto la politica, se non marginalmente e con il sistema delle frasi fatte, mostra di volersi occupare, quando invece essi dovrebbero essere al centro della attenzione delle classi dirigenti. Transizione energica non può rimanere uno slogan od un modo per attrarre una parte degli investimenti europei senza interrogarsi in modo tempestivo su che tipo di processi si vanno a mettere in azione.
Parliamoci chiaro, non è una discussione sui massimi sistemi, ma ha una concretezza che purtroppo oggi sembra sfuggire a non pochi addetti ai lavori. Eppure quando si costruisce una centrale con energia rinnovabile si usa calcestruzzo, acciaio, polimeri, zinco, silicio, litio ed altri materiali. E le pale, i pannelli, le batterie non sono composti d’aria Non stiamo agendo con un colpo di bacchetta magica. E quando i prodotti devono raggiungere le destinazioni viaggiano sempre e comunque su Tir, navi che vanno con combustibili che saranno sempre più cari. Fino al punto, probabile, che come avvenne per il petrolio si discuterà su quanto potremo ancora disporre die minerali essenziali per il nuovo mondo dell’energia.
Naturalmente la questione non riguarda la necessità di andare avanti nella transizione energetica. L’obiettivo resta fondamentale. Ma sulle strategie c’è ancora molto da discutere, eliminando in tutta fretta paraocchi ideologici e convenienze elettorali. E soprattutto non si può far finta di niente o quasi di fronte alle crisi occupazionali che processi troppo accelerati e poco meditati possono provocare e stanno già determinando come dimostrano i casi delle centrali di Portovesme e di Fiume Alto la cui conversione a metano è messa in discussione. Incertezze ed angosce che del resto piombano su un terreno occupazionale nel quale la spada di Damocle dei licenziamenti pende su non poche imprese e spesso si abbassa minacciosa proprio là dove esiste meno lavoro.
Per non accennare inoltre ai costi sociali di cui le bollette sono la prima verifica assai spiacevole in un periodo nel quale i bilanci di famiglie ed imprese hanno ricevuto il duro contraccolpo della pandemia. Così come andrebbero valutati con maggiore attenzione gli effetti della inflazione da materie prime che per ora appaiono solo all’inizio ma che potrebbero farsi più minacciosi, comprendendo anche quelli da prodotti petroliferi e da un carbone che…in barba alla decarbonizzazione mostra prezzi ai massimi.
Non esistono allora margini per una discussione più ampia fra Governo, politica e parti sociali, in odo tale da evitare per tempo corti circuiti nella realtà sociale del Paese?
Francamente sarebbe preoccupante se ciò non avvenisse. Anche perché saremmo di fronte ad un contesto economico ma anche politico nel quale i soldi europei placano gli animi, ma le vere riforme avvengono senza un reale coinvolgimento della società italiana a partire dal mondo del lavoro che di esse dovrebbe essere uno dei massimi protagonisti. Così pare essere invece per la transizione energetica, ma anche per il fisco e per altri passaggi riformatori essenziali per modernizzare il Paese. Sino all’interrogativo del perché una riforma profonda del nostro vivere civile, come la transizione ecologica ed energetica, non trovi spazio che merita nella scuola e nel costume del Paese che non può essere dato in concessione ai social…
Mutamenti di fondo come quelli cui si avviamo impongono che siano le classi dirigenti a dare l’impronta ed a sforzarsi con passione di coinvolgere i cittadini. Siamo molto lontani da questa rappresentazione. Siamo forse più vicini ad una delega a quanto vi è oggi di guida tecnocratica (e verrebbe da dire…meno male che esiste…) ma non solo nel nostro Paese. Ma se è così allora aumentano responsabilità e ruolo del movimento sindacale. Un’agenda di impegni e di proposte che va assicurata in una fase cruciale per una stabile crescita economica e una significativa riduzione delle diseguaglianze.
Paolo Pirani