“La repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni…” recita la nostra Costituzione e con l’art. 38 ribadisce il dovere di tutelarlo, imponendo di provvedere alle loro esigenze in caso di infortunio.
Osservando la sequenza drammatica di incidenti mortali sul lavoro dobbiamo ammettere che questo fondamentale indirizzo costituzionale appare purtroppo disatteso in buona parte ed offuscato talvolta da una “retorica di giornata” oltre la quale spesso non si va. Fra non molto il caso della morte della giovane operaia tessile che pure ha commosso il Paese ritornerà dunque ad essere un triste numero della statistica delle morti sul lavoro? Il sindacato non può permettere questa deriva, ma nemmeno la coscienza civile del Paese. La Uil lo ha compreso in anticipo con la sua campagna contro gli incidenti sul lavoro, in un momento nel quale forse sembrava porre un problema fuori tema, ovvero la pandemia, ma che fuori tema non lo era assolutamente come i fatti hanno dimostrato.
Se la ripresa economica e produttiva per giunta sarà in grado di accelerare, come è sempre avvenuto in passato, i rischi per i lavoratori aumenteranno ed è quindi necessario affrontare questo grave problema senza più rincorrere il fatto tragico, ma riconducendo l’iniziativa per contrastare questo tragico fenomeno ad un piano efficace e coordinato da mettere in campo nei prossimi mesi ma soprattutto da inserire in una visione strategica che affronti alla radice le conseguenze delle trasformazioni del lavoro.
C’è troppa indifferenza politica attorno alla questione dei rischi che il lavoro sempre più tecnologico comporta. Probabilmente c’è anche una buona dose di impreparazione e di lontananza culturale dalle dinamiche reali del lavoro e dalle nuove forme di sfruttamento e di deregulation che sono parte in causa nel provocare vittime o gravi infortuni. Eppure, lo si dice da tempo e lo si ripete, norme, risorse e controllori ci sono. L’Inail ad esempio registra su questo fronte disponibilità non utilizzate. Certo, gli effetti di una subordinazione alle sirene liberiste del passato ha provocato danni, in particolare sul sistema dei controlli. Ma tutto questo non può giustificare alcuna inerzia. Eppure l’interrogativo non si esaurisce in quello che si deve fare con gli strumenti a disposizione. In realtà ci si deve chiedere se quegli strumenti, che vanno comunque applicati come non lo sono oggi, sono adeguati.
In realtà come la norma della Costituzione ci ricorda occorrerebbe porre sotto esame tutte, ma proprio tutte, le criticità che sono emerse in questi anni senza avere risposte efficaci od essere contemplate nell’ordinamento giuridico e che riconducono inevitabilmente a sostenere che per fare questo è indispensabile rimettere la persona al centro del lavoro.
E’ da questo assunto che si deve ripartire. Lavoratrici e lavoratori sono già immersi da tempo nei cambiamenti determinati dalla digitalizzazione, dalla presenza di robot “collaborativi” che creano interazioni con il lavoratore non prive di rischi, da aumento di ritmi di lavoro che provocano stress e isolamento, per arrivare ad una organizzazione del lavoro praticata dai giganti multinazionali che producono e vendono direttamente ai consumatori innescando processi lavorativi il cui tasso di sfruttamento è già da tempo causa di proteste e rivendicazioni sacrosante tese ad evitare condizioni di lavoro insicure, pericolose ed umilianti.
Ma attenzione: l’evoluzione della quarta rivoluzione industriale si accompagna ad una giungla contrattuale alla quel va posto rimedio. Perché è arcinoto che in singole aziende, o gruppi o cantieri convivono profili contrattuali il cui scopo manifesto è quello di economizzare sul costo del lavoro, provocando però situazioni di lavoro irregolare e di pericoli per la sicurezza.
Di fronte a questo scenario non si può mettere la testa sotto la sabbia. O invocare la solita palingenesi che dovrebbe essere attuata da un futuro Statuto dei lavoratori. Si tratta invece di prendere coscienza che inevitabilmente il nostro sistema di sicurezza sul lavoro non è in grado di rispondere a quello che il lavoro oggi è effettivamente. Ed è tempo allora di ritrovare nelle relazioni industriali e nel confronto con le Istituzioni un percorso di analisi, di proposte, di scelte concrete che sappiano aggredire il fenomeno senza ritardi o compiacenze.
E’ inutile girarci attorno: si deve riorganizzare, senza perdere ulteriormente tempo, una strategia della sicurezza sul lavoro in grado di affrontare un mondo produttivo e di attività economiche sempre più lontano da quello che si è conosciuto.
Studi mirati sulle profonde modifiche dell’organizzazione del lavoro ad esempio equiparano i dipendenti che agiscono tramite piattaforme digitali ai lavoratori atipici ed al precariato, settori nei quali infortuni e rischi sono in continuo aumento. Dietro le crescenti diseguaglianze sociali e lavorative si annida perciò lo spettro di una più insidiosa mancanza di sicurezza sul lavoro. Ed una delle conseguenze di questi processi è quella di posizionare al centro dell’attività di lavoro l’algoritmo che spodesta così esigenze, diritti e volontà del lavoratore, lui sì che dovrebbe essere il primo riferimento attorno al quale costruire l’attività produttiva.
Mai come in questo momento rifiutare la fida con l’innovazione sarebbe letale per il Paese come per le organizzazioni sindacali.. E’ un percorso obbligato nel quale però si deve scegliere se subirlo od orientarlo. In questo senso anche sul terreno della sicurezza del lavoro deve interagire molto di più una cultura di partecipazione. Del resto gli accordi intercorsi durante la pandemia indicano che la via della collaborazione è stata ed è positiva.
La Uiltec ha messo in campo iniziative che vanno in questa direzione e che segnalano la concreta possibilità di fermare fenomeni dolorosi ed inconciliabili con la civiltà del lavoro. Si dovrà anche premere perché le risorse europee destinate alla salute non si dimentichino della questione centrale della sicurezza. E nella prospettiva di una sanità territoriale diversa dall’attuale, questa problematica non dovrà rimanere assente.
Vanno compiuti passi in avanti in questa direzione per aprire davvero una nuova pagina di relazioni fra le parti, per rimettere in moto interventi riformatori, fornendo altresì al legislatore le ragioni per correggere, sostituire, aggiungere quelle normative che possono sostenere un grande sforzo di prevenzione, formazione e controllo capace di abolire finalmente una grande ingiustizia: quella di rischiare la vita per dr da mangiare e garantire dignità alla propria esistenza ed alla propria famiglia.
Paolo Pirani