Un emendamento annunciato più volte, e adesso prossimo alla presentazione nel Decreto Crescita, prevede che dal primo gennaio 2020 anche i comunicatori professionali, sia in ambito privato che pubblico, siano iscritti all’Istituto di previdenza dei giornalisti invece che all’Inps.
Si tratterebbe di una norma “salva Inpgi”, in quanto l’Istituto registra entrate sempre più esigue a causa dell’aumento costante del numero dei pensionati e della diminuzione altrettanto costante del numero dei contribuenti.
Emerge chiaramente dalla Determinazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria 2017 un quadro preoccupante dall’andamento prospettico della gestione ed impone agli organi di amministrazione dell’Inpgi, come già raccomandato in passato, di porre responsabilmente in essere ulteriori interventi tempestivi ed efficaci per rimediare ad una situazione che, altrimenti, rischia di compromettersi definitivamente. La proposta emendativa che si vuole formulare, servirebbe solo a evitare il commissariamento dell’Istituto, non certo anche a dargli una prospettiva concreta.
Questa novità sta creando grande scompiglio nel mondo della comunicazione d’impresa. Si tratta di ben 20mila lavoratori della comunicazione (Responsabile della Comunicazione, Communication Manager, Responsabile Relazioni Esterne, PR Manager, Responsabile Comunicazione Marketing, Responsabile Digital Marketing, Digital PR...), che agiscono sui processi di comunicazione a vari livelli, tradizionale e digitale, e con diversi gradi di autonomia e responsabilità proprio all’interno delle imprese. Il comunicatore d’impresa, non solo come esperto nella propria materia, ha per oggetto della propria funzione l’identità dell’impresa stessa (immagine, mission, vision, valori), agisce come un manager dotato di deleghe rilevanti e gestisce spesso le risorse umane con cui collabora. Per questo motivo gran parte dei comunicatori, in particolar modo nelle aziende più strutturate, è inquadrato come dirigente ed a loro si applica il CCNL della categoria. Siamo dunque preoccupati per il fatto che tutti questi professionisti andrebbero a perdere certezze previdenziali e potrebbero rischiare il loro (nostro) contratto di categoria in nome di un provvedimento di cui sembra nessuno abbia valutato le conseguenze per chi sarebbe obbligato ad entrare in Inpgi. Come per esempio il paradosso che questi colleghi, alcuni dei quali vicini ai requisiti di quota 100, vedrebbero sfumare questa possibilità essendo impedito il cumulo tra i due istituti per questa fattispecie.
In conclusione, riteniamo che si stia seguendo una soluzione anacronistica, invece di agire una semplificazione previdenziale introducendo disposizioni comuni, immaginando un solo Istituto di primo pilastro, in modo da favorire passaggi di carriera e accrescere la mobilità dei lavoratori, migliorando l’acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici, noi ancora stiamo parlando di come salvare Casse private.
Non possiamo che augurarci quindi che prevalga il buon senso e l’emendamento non venga approvato, come già successo in precedenza.
Massimo Fiaschi – Segretario generale Manageritalia