Giorgio Cremaschi – Segretario Nazionale Fiom-Cgil
Da anni la condizione principale del lavoro industriale è la precarietà. E d’altra parte il modello del lavoro industriale precario si sta diffondendo con la velocità della rete in tutte le sedi del lavoro organizzato. L’attacco all’articolo 18, la decisione della Fiat di licenziare, chiariscono definitivamente che non ci sono lavoratori garantiti e lavoratori precari, insider e outsider, ma che la precarietà individua una condizione complessiva di tutta la forza lavoro oggi.
Il rischio d’impresa, quello che viene spesso usato a giustificazione economica del capitalista, viene totalmente addossato sulle spalle dei lavoratori. I nuovi assunti sono sempre più precari “usa e getta”, quelli già al lavoro devono solo aspettarsi di essere espulsi alla prima ristrutturazione utile. Questa trasmigrazione dell’imputazione del rischio dall’imprenditore al lavoratore è l’essenza del liberismo. Contro di essa la piattaforma della Fiom mette in campo il pacchetto centrale delle rivendicazioni.
Prima di tutto si vuole porre un limite massimo al tempo di precarietà del rapporto di lavoro, comunque esso sia definito. Dopo 8 mesi di lavoro interinale, a termine, di staff, di collaborazione coordinata e continuativa si deve essere assunti come lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Caso mai potrà essere il lavoratore, e solo lui, a scegliere davvero il tipo di rapporto di lavoro che preferisce, l’azienda no. In questo modo si mette in discussione il principale artificio a tutela della precarietà del lavoro, affermato in questi anni dalla legge e dalla pratica: il continuo spostamento dei lavoratori da un rapporto di lavoro precario all’altro, come condizione permanente. Per gli apprendisti e per i giovani assunti con contratti di formazione e lavoro ci dovrà essere un giustificato motivo per la mancata conferma. Il lavoro a part-time dovrà essere effettivamente una scelta del lavoratore e non una rigida flessibilità sottopagata imposta.
La piattaforma sviluppa poi una serie diffusa di rivendicazioni che hanno lo scopo esplicito di ridurre l’arbitrio delle aziende nel mercato del lavoro, in particolare nei processi di decentramento e terziarizzazione delle attività e di elevare il controllo delle Rsu e delle organizzazioni sindacali su tutto il processo produttivo. I processi di ristrutturazione in atto, la crisi Fiat, ricevono una risposta dalla piattaforma con la richiesta alle imprese di impegnarsi a utilizzare prioritariamente i contratti di solidarietà e tutte le forme di distribuzione del lavoro alternative ai licenziamenti e alla Cassa integrazione a zero ore.
In pochi anni le disuguaglianze all’interno del mondo del lavoro sono aumentate enormemente. Negli ultimi 5, 6 anni la media degli incrementi del salario lordo dei metalmeccanici è stata più o meno pari all’inflazione. Ma questo risultato, che con l’aumento del drenaggio fiscale sui redditi da lavoro dipendente produce una riduzione del potere d’acquisto reale medio della categoria, è una media del pollo. In pochi anni i salari lordi degli operai hanno perso 5 o 6 punti rispetto dell’inflazione ufficiale. Mentre quelli degli impiegati medio alti e dei dirigenti sono cresciuti di circa 4 punti. Questa sperequazione è frutto sia delle politiche salariali ufficiali (si sente la mancanza della quota di scala mobile uguale per tutti), sia, e soprattutto, del salario concesso unilateralmente e copiosamente dalle aziende, proprio quando il sindacato chiedeva poco.
La Fiom prende atto di tutto questo e non solo conclude che, con l’attuale politica fiscale e tariffaria del governo, con l’attacco ai diritti, con la crisi della concertazione, non ha senso mantenere i vincoli salariali del 23 luglio. Ma compie un riassetto della propria politica salariale tirandola fuori dagli schemi obbligati dell’ultimo decennio. Se si tratta di recuperare salario perso e di ridistribuire anche produttività nel contratto nazionale, non è detto che questo debba avvenire secondo gli schemi classificatori astratti del passato. Si propongono così alla consultazione due ipotesi di rivendicazione salariale, entrambe più egualitarie che nel passato. La prima, con un aumento esplicitamente uguale per tutti, la seconda, con un aumento riparametrato in misura molto più contenuta che negli ultimi contratti.
Se la lotta alla precarietà e una nuova politica salariale costituiscono gli assi portanti della piattaforma, essa non si esaurisce con queste rivendicazioni.
Tutte le altre richieste possono essere accomunate dalla scelta di ricostruire un potere contrattuale dei lavoratori e del sindacato su tutti gli aspetti della condizione di lavoro. Dagli orari, di cui si chiede la riduzione per tutti i turni faticosi e disagiati, mentre si vogliono porre nuovi limiti allo straordinario; alla professionalità, ove si rimette mano all’inquadramento unico e soprattutto al blocco autoritario delle carriere e della crescita professionale. Al diritto alla formazione, ove si propone di ridare valore ad un antico e glorioso istituto, le 150 ore. Il cui utilizzo era stato congelato negli anni della glaciazione contrattuale liberista.
Infine, la piattaforma prova a dare una prima voce alle rivendicazioni della nuova classe operaia migrante, che nelle zone più ricche del paese sta diventando una componente decisiva dell’occupazione industriale.
In sintesi la piattaforma della Fiom tenta di dare una prima risposta in controtendenza rispetto al continuo degrado della condizione del lavoro e del sistema dei diritti. Essa non solo è quantitativamente differente dalle precedenti, ma lo è qualitativamente in quanto, affermando la centralità di una cittadinanza piena e di una reale valorizzazione del lavoro nell’impresa, propone un assetto produttivo e sociale del Paese diverso da quello che ci consegnano gli anni del liberismo. Anche per questo le rivendicazioni concrete si intrecciano con la richiesta di una reale pratica democratica nella gestione della vertenza.
Le vicende degli accordi separati hanno reso centrale la questione della validazione democratica degli accordi. La Fiom ha posto alle altre organizzazioni una vera e propria pregiudiziale democratica. Si può provare a realizzare assieme la piattaforma, a superare le differenze con accordi e mediazioni, ma le decisioni delle organizzazioni devono essere sottoposte alla validazione del voto segreto dei lavoratori. L’esercizio della democrazia diretta nel contratto nazionale assume una vera e propria funzione costituente. Senza di essa il pluralismo sindacale si trasforma in legge della giungla, in competizione al ribasso tra le organizzazioni, nell’arbitrio della controparte che sceglie con chi e su che cosa trattare. E’ il rifiuto delle altre organizzazioni alla democrazia sindacale come elemento costituente del contratto che ha portato alle piattaforme separate. Sarà l’evoluzione della vertenza a decidere sul futuro dell’unità e sulla funzione stessa del contratto nazionale.
Domanda: che interessi avrebbero le imprese a trattare su questa piattaforma? Semplice. Se si pensa di andare avanti nella frantumazione e nella individualizzazione del rapporto di lavoro, l’interesse è zero. Ma se la stagnazione industriale e la ripresa del conflitto rendono consapevoli della crisi delle politiche liberiste, allora le imprese dovranno riflettere. Dovranno pensare al fatto che una più forte regolazione e funzione del contratto nazionale non sia affatto un danno, ma invece uno strumento, da mettere accanto ad altri di politica economica ed industriale, funzionale ad una uscita positiva da quella crisi.
Su questo conta e in ogni caso a questo scopo agirà la Fiom.