Oddio, arriva l’Intelligenza Artificiale e non ho niente da mettermi! In effetti siamo ancora lontani dall’aver assorbito le gigantesche trasformazioni del mondo del lavoro portate dall’informatica e dai software e stiamo per essere investiti da una nuova ondata, di cui nessuno è ancora in grado di fissare i parametri. Quello che abbiamo capito è che molte occupazioni verranno potenziate e trasformate e molte altre eliminate. Il problema è quante, su un versante come sull’altro.
Gli economisti del Fondo monetario hanno provato a stendere la mappa, da cui viene fuori una sorta di pareggio. L’Intelligenza Artificiale potenzierebbe l’attività nel 30 per cento delle occupazioni, ma – almeno nei paesi ad economia avanzata – farebbe fuori il 33 per cento dei posti di lavoro. Uno su tre, una mattanza. Perché parlare di pareggio è illusorio. Una cosa è rendere una attività più efficiente e produttiva, un’altra è vedersela togliere, restando disoccupati. L’IA creerà anche nuovi posti di lavoro e, se sì, quanti? Non lo sappiamo.
La preoccupazione traspare dagli studi del Fmi, che si sforzano di individuare gli strumenti che puntellino l’occupazione anche nel corso della grande trasformazione dell’IA. Le risposte sono tutt’altro che sorprendenti. Il problema, per noi, è che irrobustire i sussidi di disoccupazione (e non la cassa integrazione) come rilanciare in grande stile la formazione professionale sono due delle cose che l’Italia fa peggio.
In effetti, nella apposita classifica sul grado di preparazione all’IA che stila il Fondo, siamo messi, fra i paesi avanzati, prevedibilmente abbastanza male. La classifica prende in considerazione quattro fattori: le infrastrutture digitali, l’innovazione, la regolazione del fenomeno e la legislazione sul lavoro. Nel gruppo di testa, con gli Usa e i paesi nordici, ci sono Germania, Austria, Francia. Noi stiamo in fondo, dietro Spagna e Portogallo, insieme ai paesi dell’Est.
Il rischio che la situazione sfugga di mano, con l’esplodere delle ineguaglianze e della concentrazione di ricchezza, è abbastanza alto da spingere il Fmi verso posizioni, più che insolite, inedite. Qui la sorpresa, infatti, c’è. Gli economisti del Fondo si trovano ad invocare non solo una regolamentazione più puntuale, ma, di fatto, un rallentamento nell’espansione della intelligenza artificiale. Come? Con il fisco.
Le tasse sui redditi da lavoro, da metà degli anni ’80 ad oggi, lamenta il Fondo, sono cresciute mediamente troppo, dal 25 al 30 per cento. Mentre quelle sul capitale sono diminuite troppo: dal 25 al 20 per cento. Lo squilibrio favorisce gli investimenti volti a risparmiare lavoro, ma qui ne stiamo risparmiando troppo. Ed ecco, dunque, che il Fmi chiede di rivedere il trattamento fiscale delle aziende che “in modo inefficiente favorisca il rapido accantonamento di lavoro umano”.
Una robot tax, allora? L’Fmi non si spinge fino a suggerire che il fisco tassi di più i processi di automazione. Ma, in due parole, chiede che non vengano incentivati quanto succede ora. In Germania, come negli Usa, l’acquisto di software fruisce di uno sconto fiscale del 40 per cento. In Italia siamo lontani da queste cifre, ma per quanto riguarda, invece, gli investimenti in computer, con una facilitazione pari al 60 per cento, siamo i più generosi di tutti.
E’ un rovesciamento di prospettiva epocale. Meno investimenti sull’innovazione, al contrario di quanto veniva invocato fino a ieri? Il Fmi non dice “basta con l’innovazione”, ma “piano con l’innovazione” sì. Chi se lo sarebbe aspettato? L’Intelligenza Artificiale fa davvero paura.
Maurizio Ricci