Paolo Pirani – Segretario Confederale Uil
Su esplicita richiesta delle parti sociali ma anche secondo l’intendimento del Governo, la legge finanziaria sarebbe dovuta essere la sede istituzionale in cui recepire gli impegni assunti con l’accordo di Palazzo Chigi. Riduzione della pressione fiscale per i redditi medio-bassi, mantenimento della spesa sociale, investimenti per lo sviluppo, in particolare del Mezzogiorno, costituiscono i tre pilastri su cui si è fondata quell’intesa. Di tutto ciò dovrebbe dunque esserci traccia nella Finanziaria.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’unico elemento positivo che sembra emergere da quella legge è la riduzione delle tasse per i lavoratori e pensionati con redditi inferiori ai 25mila euro. Forti perplessità, invece, permangono, in merito al capitolo relativo alla riduzione delle spese. Non è ancora chiaro, infatti, se queste si tradurranno in risparmi conseguenti al miglior funzionamento delle amministrazioni o se, viceversa, si tratterà di tagli alle prestazioni sociali e ai servizi ai cittadini. Ma il punto decisamente più controverso è quello relativo al Mezzogiorno: così come è strutturata, la Finanziaria non consente di trasformare in fatti concreti gli impegni assunti nell’intesa di luglio per lo sviluppo di quell’area del nostro paese.
Ci sono dunque elementi di forte preoccupazione che hanno indotto i firmatari di quell’intesa a richiedere con urgenza la convocazione di un tavolo sul Sud che consenta di affrontare con decisione le molte questioni ancora aperte. Anzi, l’attuale quadro di incertezza richiede probabilmente l’avvio di una vera e propria trattativa per trasfondere in un accordo specifico gli impegni concreti assunti a luglio.
Peraltro, non si può prevedere, così come fa il Governo, una crescita del Pil su valori del 2% se il Sud non cresce ad un livello superiore a quella soglia. Ecco perché crediamo che lo sviluppo del Mezzogiorno non possa essere eluso, pena un arretramento dell’intero paese. Ed ecco perché è urgente che tutte le parti sociali insieme all’Esecutivo, si facciano carico di questo problema e individuino le soluzioni necessarie al rilancio del Sud. E’ una battaglia, questa, che può e deve vedere coinvolto l’intero sindacato ed è un terreno sul quale l’esigenza della ricostruzione di un’unità d’azione potrebbe trovare le prime utili risposte.
Al di là di queste valutazioni politiche, ci sono tuttavia alcuni dati macroeconomici su cui è costruita la legge finanziaria che autorizzano qualche legittimo dubbio sulla tenuta degli impegni complessivi assunti da questo Governo. La crescita del prodotto interno lordo per il 2002 è stimata nell’ordine di uno 0,6% mentre le previsione per il 2003 parlano addirittura di una crescita del 2,3%. Con una dinamica economica così modesta, considerato che la crescita nei primi nove mesi di questo anno è stata pressoché vicina allo zero, quelle previsioni appaiono onestamente troppo ottimistiche se non addirittura irrealistiche.
Anche la stima delle entrate, basata su 8 miliardi di euro derivanti dal concordato fiscale e 4 miliardi di euro derivanti dalla cartolarizzazione, appare sostanzialmente troppo generosa. Non è quindi da escludere che in sede di approvazione parlamentare della finanziaria, per far quadrare i conti, si debba trasformare la proposta di concordato in condono tombale ed eventualmente aggiungere anche una qualche forma di condono edilizio. Questa situazione di incertezza richiede una particolare attenzione del sindacato chiamato a verificare, proprio nella definizione dei contenuti di questa legge, la corrispondenza con gli impegni assunti dall’Esecutivo.
Il punto debole dell’impianto resta dunque quello dello sviluppo. Ma per rilanciare la crescita l’unico elemento su cui far leva, in particolare nella situazione italiana, è quello dell’incremento degli investimenti in infrastrutture. Come è noto gli stanziamenti per le opere pubbliche nel 2002 si sono ridotti del 4,3% rispetto allo scorso anno. Ora si attende il collegato alla Finanziaria 2003 per le infrastrutture, per valutare se si concretizzerà il rischio di una continuità nel trend decrescente degli investimenti. Un ulteriore decremento degli investimenti sarebbe esiziale non solo per il nostro Mezzogiorno, le cui potenzialità di rilancio restano ancora tutte inespresse, ma per l’intero Paese, che potrà crescere se il nostro Sud sarà messo nella condizione di trasformarsi in fattore di traino dell’economia.
In questa sfida, dunque, tutti i soggetti istituzionali, sociali e imprenditoriali sono chiamati a svolgere con determinazione la propria parte.