L’accordo Confindustria-sindacati potrà rappresentare, per il futuro, una strada per un nuovo modello di relazioni industriali? È questa la domanda che ha animato il seminario organizzato dall’Associazione Lavoro&Welfare, tenutosi ieri nella sede del Partito Democratico al Nazareno, nel quale rappresentati delle parti sociali e della politica hanno fatto il punto sui prossimi scenari del mercato del lavoro che potrebbero scaturire dall’accordo.
Il documento ha avuto la sua genesi e la sua firma in un momento cruciale per l’Italia. L’intesa, infatti, ha visto la luce poco più di un mese prima del voto di marzo (la notte del 28 gennaio), ed è stata firmata ufficialmente quattro giorni dopo la vittoria sancita dalle urne del centro-destra e del Movimento 5 stelle.
Una sintesi alla quale Cgil, Cisl e Uil e Confindustria sono giunte senza nessun tipo di spinta esogena, come hanno ribadito nel corso del seminario, con la quale le parti sociali non solo riaffermano la propria autonomia e la propria importanza nella dinamiche delle relazioni industriali, ma indicano anche delle guida per lo sviluppo del Paese.
Attenzione all’innovazione e sviluppo delle competenze, crescita inclusiva, rafforzamento dei due livelli di contrattazione e ampliamento di quella di secondo livello, maggiore partecipazione dei lavoratori nei processi di decisione dell’azienda, senza dimenticare il tema della pesatura della rappresentanza delle associazioni datoriali, onde evitare la proliferazione di contratti pirata. Impegni chiari e forti, nati in un clima non più emergenziale, ma che guardano al futuro, nel quale la ripresa economica si sta dispiegando con crescente velocità, portando con sé un ampio ventaglio di cambiamenti.
Partendo proprio dai contenuti dell’accordo, Mimmo Carrieri, docente di sociologia economica a La Sapienza di Roma, sottolinea come il documento poggi su due gambe: una di carattere simbolico, l’altra dai contorni più legati alla realtà. Sul piano simbolico, spiega Carrieri, si riafferma la centralità dei corpi intermedi e il loro impegno nel guidare il Paese verso la via alta della competitività. La seconda ‘’gamba’’ consiste nelle leve per attuare questi propositi: vale a dire la contrattazione, soprattutto quella decentrata, la ripresa delle dinamiche salariali e una nuova sensibilità relativa alla questione della rappresentanza.
Su un punto le tre confederazioni sono d’accordo: il documento chiude una fase delle relazioni industriali per aprirne una nuova. Franco Martini, segretario confederale Cgil, ha ribadito come “i corpi intermedi possono diventare leve e non freni per lo sviluppo economico del Paese. Tutto questo attraverso una diversa cultura delle relazioni industriali, che si basi sulla rappresentanza, l’inclusione e la partecipazione”. Roberto Benaglia, coordinatore dell’Osservatorio sulla contrattazione di secondo livello della Cisl, vede il miglior pregio dell’accordo “nella capacità sia di usare strumenti già conosciuti e consolidati in maniera innovativa, fornendo, al contempo, una diversa cassetta degli attrezzi per governare le complessità del mercato del lavoro”. La Uil, attraverso la segretaria confederale Tiziana Bocchi, non ha mancato di esaltare l’importanza della partecipazione della forza lavoro, che, grazie all’accordo, può trasformarsi in un vero e proprio coinvolgimento nelle strategie aziendali.
Sull’altro versante, Confindustria legge l’intesa come il tassello di un percorso già avviato da tempo. Pierangelo Albini, responsabile Area Lavoro e Welfare di Viale dell’Astronomia, ha messo in risalto la centralità di due elementi: il tema della rappresentanza e il contratto collettivo nazionale, fortemente collegati tra di loro. Lo screening della rappresentanza delle associazioni è il primo e principale argine contro ogni forma di dumping contrattuale. La conta dell’effettivo peso del sindacato è indispensabile, ha precisato Albini, per arrivare a individuare tra i contratti quello più rappresentativo, visto il loro proliferare anche all’interno di uno stesso settore. Altro fattore di pericolosità individuato da Confindustria è la proposta, avanzata da alcune forze politiche, del salario minimo legale: il timore è che, con il depauperamento del contratto collettivo, il combinato disposto dumping contrattuale e salario minimo possa agire come una zavorra che trascini al ribasso la contrattazione.
Sul tema del salario minimo per legge è intervenuto anche Cesare Damiano, presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare, ribadendo come questo potrebbe essere una soluzione positiva se applicata solo a quelle realtà del mondo del lavoro non coperte dalla contrattazione. Entrando nel merito dell’accordo, Damiano ne ha sottolineato la volontà di rafforzare e innovare quelle linee guida, che, in passato, già altri accordi avevano dettato, puntando su un miglioramento della qualità dell’occupazione e il contrasto a tutte le forme di dumpig che hanno contraddistinto diversi camparti.
Un accordo che anche una parte del panorama politico ha salutato positivamente. Tommaso Nannicini, economista e neo senatore Pd, ha elogiato lo sforzo messo in campo dalla parte sociali nel confezionare il documento. Potenzialmente, ha proseguito Nannicini, ci sono tutti gli elementi per una svolta significativa nelle relazioni industriali pur restando, tuttavia, ancora alcuni nodi che non sembrano avere trovato una linea comunitaria, come il ruolo e il peso che si vorrà affidare alla contrattazione decentrata.
Tommaso Nutarelli