Senza sindacato si vive male. Non lo dice un sindacalista, ma un quartetto di economisti del paese più ostile al sindacato: gli Stati Uniti. In uno studio pubblicato dall’autorevole National Bureau of Economic Research, Richard Freeman, Eunice Han, David Madland e Brendan Duke si spingono anche più in là: il sindacato non solo è utile, potrebbe essere necessario. Almeno se l’obiettivo è quello di rimettere in moto la mobilità sociale e rimpolpare le classi medie, frenando la tendenza della società americana ad accrescere continuamente il tasso di ineguaglianza. E’ un allarme che dovrebbe far riflettere in Italia, dove, da almeno dieci anni, ci si interroga e si combatte sul ruolo del sindacato nella società. Riformare le organizzazioni dei lavoratori, bloccarne le tendenze corporative, spingerli ad allargare la rappresentanza sarebbe importante. Picconarne la legittimità, come fa spesso Palazzo Chigi, può avere conseguenze non volute.
I dati indicano una serie di significative correlazioni. Alla fine degli anni ’50, per cominciare, il 10 per cento più ricco degli americani assorbiva il 30 per cento del reddito nazionale. In quegli anni, il tasso di sindacalizzazione era al 30 per cento. Da allora, la quota dei lavoratori americani iscritti ad un sindacato è costantemente diminuita, fino al 10 per cento attuale. E la quota di reddito che finisce nelle tasche dei più ricchi è costantemente aumentata, fino al 50 per cento del totale. E’ un trend che avevano già individuato, negli scorsi mesi, i ricercatori del Fmi, indicando nel rarefarsi del potere contrattuale del sindacato uno dei fattori dello squilibrio dei redditi a favore dei ricchi. Ma lo studio del Nber fa un passo avanti, sottolineando che l’assottigliarsi del sindacato coincide con lo svuotamento delle classi medie e lo scivolamento di chi ne faceva parte nei ranghi della popolazione a basso reddito. Se definiamo classe media chi guadagna almeno il 50 per cento dello stipendio mediano (cioè quello che si trova esattamente a metà nella classifica delle retribuzioni), i lavoratori sindacalizzati stanno quasi tutti lì, mentre chi non è sindacalizzato, anche se fa lo stesso lavoro, è finito più in basso.
La controprova arriva su un terreno inaspettato. Lo studio segue l’andamento del reddito, della salute e dei risultati scolastici dei figli di genitori sindacalizzati e il risultato non si presta ad equivoci: i figli di chi è iscritto al sindacato si ritrovano, una volta adulti, ad andare più avanti a scuola, con una salute più solida e uno stipendio più alto rispetto ai figli di chi non è iscritto al sindacato, soprattutto se il paragone viene fatto fra lavoratori a bassa qualifica. Frutto, probabilmente, degli stipendi più alti, della maggior sicurezza e stabilità dell’occupazione, dei vantaggi in termini di copertura sanitaria che danno i posti di lavoro in cui il sindacato esercita il suo potere contrattuale.
A sorpresa, però, i benefici della sindacalizzazione non si fermano agli iscritti. C’è una correlazione anche soltanto geografica, rileva lo studio, fra l’alta sindacalizzazione e il benessere della popolazione locale in generale.
In altre parole, le conquiste sindacali hanno una serie di effetti collaterali che toccano la società in generale. “In generale – dice lo studio – i sindacati rivendicano politiche che vanno a vantaggio dei lavoratori, tipo alzare i salari minimi, accrescere la spesa per le scuole, migliorare i servizi pubblici, così che gli effetti della sindacalizzazione possono risultare in redditi più alti per tutti i bambini della zona, a prescindere dall’iscrizione o meno dei genitori al sindacato”.