Il messaggio forte e chiaro. La risposta, debole e scontata. Pierluigi Bersani dice “ e’ in corso una strisciante privatizzazione del Servizio Sanitario nazionale senza che se ne discuta”. Federico Gelli, responsabile della sanità dello stesso partito, risponde: “gli è sfuggito (a Bersani) il cambio di rotta in atto”.
Bersani continua: “chi ha i soldi si rivolge al privato, chi non li ha tende a non potere accedere alle prestazioni del SSN”. Gelli ribatte: “è vero che la sanità negli ultimi anni ha subito tagli per 30 miliardi, ma con il governo Renzi è stata avviato un piano di graduale crescita del Fondo Sanitario”
Una battaglia a distanza, tra due esponenti dello stesso partito, che insieme alle esternazioni di Cuperlo contro il supposto tentativo di cambiare natura al PD per trasformarlo nel partito indistinto della nazione, sono la dimostrazione evidente di una crescente difficoltà di ricomposizione tra le due anime del PD. Due correnti albergate sotto lo stesso tetto, come separati in casa, che esprimono modi sideralmente lontani di concepire la partecipazione alla vita del partito ma soprattutto l’azione di governo e la definizione delle priorità.
E la sanità, insieme all’ altrettanto spinoso problema del rinnovo dei contratti di lavoro, rientra a pieno titolo tra quelle priorità che non sono di certo nell’agenda del governo, nonostante la difesa d’ufficio di Gelli. E dunque, bene ha fatto Bersani a far sentire la sua voce.
Del resto, continua a pesare come un macigno la scelta di Renzi di impegnare una cifra di circa 3 miliardi per l’eliminazione dell’IMU, favorendo così un abbattimento del carico fiscale di stampo regressivo, causa l’incremento del guadagno marginale con il valore dell’immobile esentato dall’imposta. Una rottura con quanto fatto dai precedenti governi di centro sinistra e in assoluta continuità con quanto promesso, senza risultati apprezzabili, da Berlusconi.
E le conseguenze di questa scelta, volta alla captatio benvolentiae dell’elettorato di centro destra e contrabbandata come una misura in grado di rilanciare i consumi, sono state l’adeguamento del Fondo sanitario di solo 1 miliardo, nonostante fosse stato concordato in sede di Patto per la salute tra governo e regioni un incremento di 3 miliardi. Il fondo dunque rimane inchiodato a 111 miliardi, una cifra che ci colloca ben sotto la media europea e che dunque rimane assolutamente inadeguata per garantire un servizio sanitario in linea con le necessità di un paese come il nostro.
Strettamente collegato è poi il problema del rinnovo dei contratti di lavoro dei dipendenti della sanità e di tutto il comparto della PA. Le risorse messe in cantiere nella legge di stabilità una vera miseria perché la spalmatura dei 300 milioni disponibili varrebbe all’incirca 8 euro pro capite. Certo il ministro Padoan si è affrettato a chiarire che altre risorse fresche (quelle vere) saranno rese immediatamente disponibili. Parole tuttavia da prendere con più di un beneficio d’inventario specie dopo il tristemente famoso tweet del presidente Renzi con il quale si invitava un ignaro Enrico Letta (poi fatto fuori in meno di 24 ore) a “stare sereno”.
Contro questo stato di fatto i sindacati dei medici nel frattempo hanno indetto uno sciopero di 48 ore, il 17 e 18 marzo. Una decisione assolutamente inedita, quella della doppia giornata di sospensione dal lavoro, e dunque la riprova della difficoltà in cui versano gli operatori della sanità medici (e non solo). Una decisione presa in sede intersindacale, alla quale partecipano tutte le sigle del settore e rivolta a ribadire un ‘no’ ai tagli delle prestazioni erogate ai cittadini e un altro no ” all’indifferenza del governo ai problemi della Sanità”. L’obiettivo, per i sindacati medici, è ”la salvaguardia del Sevizio sanitario nazionale”; ma questa dichiarazione di principio è ovviamente la classica foglia di fico che serve a coprire i veri problemi sul tappeto e il malessere crescente della categoria . I medici infatti“sereni non stanno” perché il mancato rinnovo dei contratti da ormai cinque anni ha pesantemente indebolito il potere di acquisto dell’ intera categoria, mentre i carichi di lavoro sono drammaticamente aumentati per l’impossibilità di reintegrare le uscite per quiescenza.
A questo si deve aggiungere la perdita di status nella società e in modo particolare nei luoghi di Lavoro, dove la cura all’olio di ricino dell’ex ministro Brunetta ha dato i suoi frutti, marginalizzando totalmente i vecchi signori degli scioperi e il loro potere di concertazione su importanti materie della contrattazione decentrata.
Dunque, la battaglia è destinata a durare e inevitabilmente la polemica all’interno del PD si riaccenderà in prossimità delle giornate di sciopero e nei giorni immediatamente successivi. Certo, anche il governo sta mettendo in cantiere le sue contromosse e tra queste (finalmente) la definizione da parte dell’ARAN delle quattro aree della contrattazione della PA, preliminare fondamentale per aprire il giro di valzer del rinnovo dei contratti. L’accordo sembra vicino e i medici potrebbero ottenere quanto da loro richiesto, ovvero sia la riserva di una specifica area di contrattazione riservata alla dirigenza medica e sanitaria e separata da quella tecnico amministrativa. Un risultato che potrebbe svelenire gli animi, ma che non sarà certo sufficiente a Renzi per risalire la china all’interno di una categoria che non lo ama. E il tutto condizionato dalla messa a disposizione (assolutamente non scontata), da parte del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, di risorse sufficienti a garantire un rinnovo di contratto almeno dignitoso.
Un campo fertile per tutti coloro che a destra vogliono scalzare Renzi e il suo governo, e a sinistra vogliono costruire una alternativa praticabile al partito dell’indistinto in cui il Presidente del Consiglio ha trasformato il vecchio Pd; un partito che, nonostante il convergere di tradizioni diverse, restava fortemente ancorato nel campo del centrosinistra e rispettoso del bipolarismo della seconda repubblica.
Roberto Polillo