Nulla sarà come prima, che già non è che fosse un gran che. Sarà peggio. Per la sinistra europea, anzi per tutta o quasi l’Europa, e ovviamente per l’Italia, per il nostro centrosinistra o quel che ne resta, ma anche per Giorgia Meloni che dovrà governare il Paese stretta tra il trumpismo fanatico del suo vicepremier Matteo Salvini e l’economia che non potrà migliorare, visto che il neo Presidente americano a intende introdurre pesanti dazi sulle importazioni negli Stati uniti.
Tuttavia, il cuore della nostra premier che batte a destra avrà la meglio, dunque lei troverà presto un’intesa con Donald Trump,dimenticando quel bacio sulla testa che le aveva dato Joe Biden, e contando sull’ amicizia con Elon Musk, il miliardario che di Trump è un fedele alleato, sostenitore finanziario e consigliere fidato.
D’altra parte, sono più le cose, le idee, l’ideologia che uniscono Meloni e il Tycoon di quelle che li dividono. Tra queste ultime certamente c’è la guerra in Ucraina e il sostegno di soldi e armi a Kiev: da quel che si capisce, Trump non ha nessuna intenzione di continuare a “buttare” miliardi per sostenere Kiev contro Putin, col quale ha sempre avuto un certo feeling. Si vedrà allora se la Presidente del consiglio italiana sarà costretta a un salto mortale per cambiare linea e mettersi sulla scia di quella americana, oppure se avrà la forza per restare coerente a sé stessa e a tutto quello che ha detto e fatto in questi due anni in accordo col resto dell’Europa.
Non le sarà facile però, considerato anche che il suo alleato leghista non fa altro che ribadire il suo “pacifismo” strumentale: basta armi a Zelensky, dunque forza Putin. E adesso può anche contare sulla sponda americana, sponda che non si è mai dimenticato di sostenere: il più trumpiano degli italiani ora può incassare la sua antica e reiterata fedeltà al Presidente eletto a Washington.
Ne vedremo delle belle dunque, anzi delle brutte. Intanto bruttina è la situazione del centrosinistra, altrimenti detto ex Campo largo. La leader del Pd è molto preoccupata per la vittoria di Trump, va a trovare Mario Draghi a casa sua e dichiara che “non ci riconosceremo mai in un’idea di società in cui i miliardari si ergono a paladini del ceto medio che loro stessi hanno sfruttato. Chi oggi festeggia, smetterà presto quando la nuova politica protezionistica colpirà lavoratori e imprese”.
Il suo obiettivo principale è ovviamente la nostra destra, ma quello secondario è il capo dei Cinquestelle Giuseppe Conte, che al contrario di Schlein appare piuttosto contento. E già che c’è, dopo aver espresso a “Donald Trump le nostre congratulazioni”, lui e i suoi se la prendono con la sinistra: “La vittoria di Trump è innanzitutto una lezione per tutti i finti progressisti liberisti e globalisti che hanno ammainato la bandiera della pace per sposare ogni spinta guerrafondaia”. D’altra parte, lui e Donald avevano stretto una sorta di amicizia quando Conte era il premier italiano, nessuno si scorda il famoso “Giuseppi è un uomo di grande talento” pronunciato affettuosamente dall’allora inquilino della Casa Bianca al suo primo mandato. Neanche Conte se lo scorda, appunto. Per fortuna qualcuno nei Cinquestelle ancora ragiona e – come la governatrice della Sardegna Alessandra Todde – si schiera nel fronte anti-trumpiano.
Resta da capire come potrà il Pd continuare a insistere nell’alleanza con chi si dichiara filo Trump e che magari tra qualche mese vedremo di nuovo camminare a braccetto con Salvini come durante il governo giallo-verde del 2018. Forse lo capiremo tra dieci giorni, quando si voterà in Umbria e in Emilia Romagna: riuscirà Conte a fare perdere il centrosinistra anche in queste due Regioni dopo esserci riuscito in Liguria?
Riccardo Barenghi