Il Presidente Mattarella, nel suo discorso di fine anno 2024, ha descritto il contesto internazionale delle guerre in atto, delle stragi di civili e di bambini, e di una rinnovata e grande esigenza di pace e convivenza fra gli Stati. Poi ha fatto una sintesi molto efficace delle potenzialità, dei limiti e delle contraddizioni del nostro amato Paese,
Le “luci e le ombre” in l’Italia, dice il Presidente, vanno dalla diseguaglianza crescente dei redditi e dei servizi al disfunzionamento del sistema sanitario che porta molte persone a rinunciare alle cure; dalla occupazione che cresce assieme alla precarietà in un sistema di salari bassi e al moltiplicarsi inaccettabile delle morti sul lavoro; dall’aumento delle esportazioni e degli investimenti esteri in Italia al fatto che molti giovani italiani emigrano per cercare un’occupazione e un reddito proporzionato alle loro competenze; dall’abbandono delle “aree interne e delle terre montane” alla non prevenzione degli effetti dei cambiamenti climatici; dalla crescita della violenza di genere alla necessità di salvaguardare i diritti costituzionali di chi è in carcere. E molto altro: a partire dalla necessità di festeggiare gli 80 anni dalla Liberazione, il momento di rinascita dell’Italia democratica dopo la sconfitta del nazifascismo 1.
Il Presidente Mattarella ha ringraziato Papa Francesco del messaggio sulla “Speranza” con cui ha aperto il Sinodo e ha precisato con forza che “tocca a noi” operare per consolidare lo sviluppo, ridurre le diseguaglianze crescenti, migliorare l’ambiente: insomma trasformare “la speranza in realtà”. La mia impressione è che il Presidente, quando dice “noi”, intenda dire i cittadini, le “comunità”, la società italiana. Dato che (si potrebbe osservare) le forze politiche non sono finora state in grado di definire programmi concreti che vadano oltre i titoli (non sempre giusti) delle cose da fare. Non credo che sia un caso se Mattarella si rivolge alla società senza nominare nemmeno una volta né il Parlamento, né il Governo.
Nessuno può prendersela con la società non organizzata, e nemmeno con l’apprezzabile impegno del volontariato laico e religioso se l’impoverimento sociale, economico e ambientale del Paese non si arresta e le contraddizioni non si attenuano. Ma la parte organizzata della società, a partire dalle organizzazioni delle imprese e dei lavoratori, quella sì che se non avvia politiche concrete di controtendenza si prenderà la responsabilità storica di non aver svolto il proprio ruolo in un momento cruciale per il futuro del nostro Paese. Occorre rimboccarsi le maniche e agire in prima persona senza indugi. Come fare?
Da questa domanda vorrei partire per sottolineare la necessità urgente di una nuova collaborazione fra le principali forze sociali almeno su due temi tra quelli trattati dal Presidente Mattarella, due temi più vicini alle competenze del Diario del Lavoro: il problema della quantità e della qualità dell’occupazione da un lato, quello della prevenzione dei rischi e dei disastri ambientali dall’altro. Nel metodo e nel merito, come si dice.
Prima di tutto un nuovo metodo, perché non basta più la critica separata, non basta la denuncia verbale, non basta la protesta sociale (tantomeno la “rivolta sociale”) per ottenere risultati apprezzabili e percepiti dalla collettività. E nemmeno è immaginabile, data l’esperienza degli ultimi decenni, che sia una “illuminata” iniziativa legislativa ad avviare le trasformazioni necessarie.
Con il Governo Meloni stiamo assistendo a proposte legislative che rispondono a tutt’altri indirizzi rispetto a quelli sollevati dal Presidente Mattarella: più gli obbiettivi politico-elettorali delle forze di centro destra in campo istituzionale e giuridico che non i bisogni reali del Paese.
Le grandi organizzazioni sociali (delle imprese e del lavoro) che ben conoscono le questioni di cui stiamo parlando dovrebbero invece darsi l’obbiettivo di concordare alcune priorità e alcuni percorsi per far sì che il lavoro che si crea sia più dignitoso, più retribuito, più produttivo e più corrispondente alle competenze dei giovani italiani. Avviare, nello stesso tempo, percorsi di formazione e qualificazione per i lavoratori che giungono dall’estero e di cui abbiamo gran bisogno sia per migliorare le dinamiche demografiche che per attenuare il crescente mismatch tra domanda e offerta di lavoro..
Se le imprese faticano a trovare lavoratori ciò dipende (oggi) principalmente dalla scarsa qualità del lavoro offerto, delle sue forme e del suo riconoscimento retributivo. Se al Paese è necessario un lavoro maggiore e di maggiore qualità (non un lavoro “usa e getta”, come lo chiama Papa Francesco) è necessario che i protagonisti del settore (imprese e sindacati) concordino politiche reali di trasformazione del sistema produttivo e dei servizi.
Quindi un “patto” sulle politiche del lavoro. E un “patto” sulle politiche industriali e di servizio da realizzare, che favoriscano e non blocchino le transizioni ecologiche necessarie a ridurre i rischi ambientali e climatici.
Tutti sappiamo che la prevenzione dei disastri (sismici, idrogeologici, ecologici) costa meno ed è più efficace dell’agire ex post, a disastro avvenuto. Le parti sociali potrebbero e dovrebbero essere soggetti attivi che richiedono politiche serie e programmate in questo ambito (dalla manutenzione dei boschi alla risistemazione degli argini, alla creazione dei bacini di contenimento delle acque, alla decementificazione degli alvei): si tratta di far nascere nuove imprese e nuovo lavoro legati a una domanda interna non soddisfatta da decenni. Quindi un nuovo mercato da sviluppare.
Molti altri esempi si potrebbero fare usando come indice il discorso del Presidente Mattarella, le encicliche del Papa e l’Agenda dell’ONU sullo sviluppo sostenibile.
Ci permettiamo di segnalare un possibile collante (verticale e orizzontale, nazionale e locale) che renderebbe più coeso ed omogeneo questo percorso: il collante della “partecipazione” del lavoro alle scelte dell’impresa.
Non la partecipazione dei lavoratori e dei sindacati ai consigli di amministrazione delle aziende, saltando d’un sol passo storie, culture e interessi diversi e spesso fra loro confliggenti. Ma un coinvolgimento di tutte le competenze che parte dall’organizzazione del lavoro in cui aziende e lavoratori si confrontano sulle cose da fare per far crescere il fatturato, la produttività, le retribuzioni, i profitti, e la “responsabilità sociale” delle imprese, riducendo rischi e precarietà. Una partecipazione che poi sale di livello verso momenti di confronto e coinvolgimento territoriali per valutare le priorità politiche da adottare provincia per provincia, regione per regione.
Ci possiamo affidare allo spontaneismo per un percorso così ambizioso?
Forse no, forse occorre una “cabina di regia” che articoli contenuti e metodi da impiegare per avviare questa nuova forma di “relazioni sindacali”. Un’idea potrebbe essere quella di costituire, data l’adesione delle principali organizzazioni imprenditoriali e sindacali ad Asvis (l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile), un tavolo che verifichi le auspicabili convergenze sui contenuti e proponga percorsi di avvio per la loro realizzazione.
Gaetano Sateriale
1Un po’ penoso l’apprezzamento della Premier al richiamo da parte di Mattarella del concetto di Patria. Il Presidente ha parlato di patrioti non in astratto ma citando i militari impegnati per la sicurezza ma anche i medici e gli infermieri “che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talora rischiose”, e gli insegnanti.