Il Diario del lavoro ha tenuto un seminario di studio, presso la sede dell’Arel, per analizzare i mutamenti che stanno avvenendo sul mercato del lavoro. I giovani sono sempre meno, cosi come dimostrano gli ultimi dati Istat, e spesso non hanno le competenze richieste. Questo crea grandi problemi alle imprese e in generale al mondo del lavoro. Nel corso del seminario hanno espresso i diversi punti di vista rappresentanti di aziende, sindacati, esponenti del mondo accademico.
Qui di seguito una nostra sintesi della discussione.
In apertura dei lavori il professor Tiziano Treu ha spiegato come il problema nel reperire manodopera sia presente in molti paesi, non solo l’Italia, ma da noi questi si presenta con una criticità più marcata. Non c’è una carenza di competenze ma mancano proprio fisicamente le persone nell’età centrale per il mondo del lavoro. Serve uno scambio di flussi più serrato tra scuola e lavoro e, inoltre, rendere maggiormente attrattive determinate mansioni. Le grandi aziende sono in grado di formare e plasmare i neo laureati, ma non tutto il sistema produttivo ha questa capacità.
Patrizia Ordasso, responsabile delle relazioni industriali in Intesa Sanpaolo, afferma che non solo si incontrano difficoltà nel trovare le persone ma anche nel trattenerle. Anche i giovani ben formati devono entrare nelle dinamiche del mondo del lavoro e se incontrano determinate difficoltà ricorrono alle dimissioni perché credono di non trovare altrove queste complessità. Dobbiamo fare anche i conti con una rapida obsolescenza delle competenze. La formazione continua deve essere vista come un arricchimento e non un obbligo. Questo richiede un salto culturale. Intesa ha firmato nel dicembre scorso un accordo per la formazione digitale.
Filippo Contini, Responsabile HR Policies, Labour Legal & Industrial Relations · Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, sottolinea l’importanza di irrobustire l’orientamento, come sta avvenendo in altri paesi, disincentivando l’accesso a determinate università perché formano profili al momento poco richiesti sul mercato. Tutto questo non può essere lasciato solo all’iniziativa delle grandi imprese. Il sistema si è arrangiato ma ora non c’è più tempo.
Per la segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese, il sistema paese maltratta donne e giovani. Le donne devo essere più presenti nelle materie STEM e la maternità non può essere motivi di dimissioni dal lavoro. Dobbiamo poi fare anche i conti con un cambio valoriale. Il valore del lavoro sta venendo meno. Non è giusto, afferma, appiattire tutta la formazione sui bisogni delle aziende, ma è bene puntare molto sull’orientamento, aiutando prima di tutto chi è incaricato di guidare i giovani.
Mariano Fraioli, Head of Trade Union Relation del gruppo Tim, insiste non solo sulla ricerca ma anche sul mantenimento dei talenti. Ci sono alcune leve per attirare e trattenere i giovani, come lo smart working o strumenti di welfare. Ma questo può creare disparità.
Per Roberto Forresu, Global Head of Industrial Relations & Employment Governance di Pirelli, l’evoluzione delle competenze non interessa solo i colletti bianchi ma anche gli operai, e il contratto di lavoro non sempre le inquadra nella giusta maniera. Servono competenze flessibili capace di anticipare i tempi. L’automotive sta vivendo una fase di grande trasformazione.
Silvia Stellato, Head of Trade Unions Relations presso Enel, ritiene necessario un orientamento verso le competenze. C’è un accesso limitato alle competenze STEM e l’offerta formativa è limitata. La formazione richiede anche una nuova visione culturale così come è cambiato l’approccio al lavoro.
Secondo Mattia Pirulli, segretario confederale della Cisl, il sistema formativo non è andato di pari passo con i cambiamenti del mondo del lavoro. Bisogna uscire dalla narrazione che ci sono percorsi formativi di serie A e di serie B. Ma occorre rivedere anche la qualità in entrata nel mondo del lavoro e i salari bassi che restano un problema. Dobbiamo anche cadere in una narrazione negativa del mondo del lavoro. Servono strumenti di intervento pubblico per incentivare la contrattazione di secondo livello e coinvolgere i lavoratori nei processi decisionali e di innovazione dell’impresa. Altro tema è quello dell’immigrazione e dell’emigrazione. Come facciamo rientrare chi è andato via?
Gabriele Ceratti, direttore risorse umane e organizzazione trasporto viaggiatori in Italo, afferma la necessità di una politica di agevolazione per le aziende. Occorre creare anche le condizioni per un senso di appartenenza ai valori aziendali nelle nuove generazioni.
Marco Micaroni, Responsabile Relazioni Industriali di Autostrade per l’Italia S.p.A, si pone il problema di come le piccole imprese, che rappresentano il grosso del tessuto produttivo del paese, affrontano la sfida delle competenze e della formazione.
Michele Azzola, coordinatore delle politiche industriale della Cgil, afferma come non ci sono state politiche realmente a vantaggio dei giovani. Serve un sistema che dia prospettive ai giovani. Le diseguaglianze sociali e geografiche stanno impattando enormemente. Nei territori non si ha contezza delle reali competenze richieste.
Per Mimmo Carrieri, professore di sociologia del lavoro, nel paese ci sono molti problemi da affrontare. Prima di tutto dobbiamo fare i conti con il fatto che ci sono più emigrati e immigrati e questo è cruciale per un paese che deve fare i conti con l’inverno demografico. I giovano, poi, chiedono maggiore qualità nel lavoro e l’attenzione a nuovi bisogni. Le grandi imprese hanno ancora la forza di reperire e formare i lavoratori necessari ma questo non si verifica per il piccolo. Qui manca il sistema pubblico, mancano politiche pubbliche.