Sul tema del salario minimo legale si è registrato una sorta di “non possumus”, a seguito dei veti di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria.
Eppure il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha rilanciato il tema e proprio dalle rilevazioni del nostro istituto nazionale di previdenza emerge che il 22% dei lavoratori del settore privato (eccezion fatta per i settori agricolo e domestico e nel Mezzogiorno e per gli immigrati, per i quali il dato è molto più alto) si trova sotto una soglia di retribuzione oraria lorda di 9 euro. Su queste stime una platea del 9% è al di sotto anche degli 8 euro di salario orario; il 40% della platea si pone sotto 10 euro.
Il salario minimo per legge esiste in ben ventuno Paesi dell’Unione europea su ventisette, che hanno la fissazione dei minimi retributivi per legge e nel novembre 2017 a Göteborg in Svezia, i capi di Stato e premier dei paesi aderenti all’Ue hanno discusso di “Pilastro europeo dei diritti sociali”, che tra gli obiettivi fondamentali ha il salario legale, quale strumento strategico per contrastare il dumping sociale.
E l’introduzione del salario minimo legale, come ha sollecitato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con adeguati strumenti sanzionatori potrebbe essere un istituto di garanzia contro le “condizioni strutturali di sottosalario”, che sottraggono molti lavoratori alla copertura della contrattazione collettiva. Da questo angolo visuale è possibile osservare che salario minimo legale, nei paesi ove esiste questo istituto, e contrattazione collettiva, sia con bassi che con alti livelli retributivi, sono interattivi e complementari e non oppositivi. In sostanza, il livello di copertura della contrattazione collettiva modifica sostanzialmente la funzione del salario minimo legale e solo nei paesi con bassa copertura l’istituto funge da “rete di protezione” per quanti non protetti adeguatamente dal salario contrattuale.
Il dibattito dottrinale e sindacale sul tema è molto ricco e articolato, con una dialettica di posizioni tra chi ritiene che il salario minimo legale metterebbe in questione il ruolo di “autorità salariale” delle parti sociali svolto attraverso la contrattazione collettiva e chi, invece, è favorevole assumendo il principio che le dinamiche salariali abbiano rilevanza a carattere generale anche di tipo pubblico, che giustifica un intervento legislativo sulla fattispecie.
Il salario minimo garantito non dovrebbe essere distante, e quindi soltanto meramente “protettivo”, dalle retribuzioni base dei CCNL, con il consenso delle parti sociali in regime di pluralismo, a seguito della fine del monopolio rappresentativo, fondato sull'”ordinamento intersindacale” e la crisi dello stesso modello di relazioni socio-istituzionali di tipo neocorporativo, e la rapida diffusione di contratti collettivi stipulati da associazioni datoriali e sindacati dei lavoratori diversi dalle organizzazioni “storiche” in regime di reciproco riconoscimento. Esiste infatti, un nuovo pluralismo sindacale e contrattuale lontano dai contratti “pirata”, che promuove i diritti dei lavoratori all’insegna della modernizzazione delle relazioni industriali per la crescita economica e l’innovazione d’impresa, come, ad esempio, il recentissimo CCNL del settore conciario e della lavorazione della pelle e del cuoio, sottoscritto dalla Confial con Federconcia.
I minimi legali retributivi tutelerebbero così, i lavoratori senza protezione, costituendo anche la base per la contrattazione collettiva, pure nell’ipotesi di conferimento ad essa dell’efficacia erga omnes attraverso la “legge sindacale”, valorizzando la funzione storica dell’autonomia collettiva e quella della giurisprudenza sull’art. 36 della Costituzione.
Maurizio Ballistreri
*Professore di Diritto del lavoro nell’Università di Messina
Presidente dell’Istituto di Diritto del Lavoro in Roma