Il documento “Pordenone laboratorio per una nuova competitività” presentato il 18 gennaio 2014 nella sede di Confindustria Pordenone contiene un ambizioso piano di reindustrializzazione e di sviluppo di questo territorio.
L’occasione è la crisi dell’Electrolux, epicentro delle difficoltà dell’industria “del bianco”, storicamente centrale in quest’area. Per evitare la fuga dell’azienda si prevedono condizioni nuove sia produttive sia contrattuali: una zona manifatturiera e una zona contrattuale “speciale”, come riporta Di Vico nel Corriere della Sera del 19.01.2014.
Ma il documento va oltre l’emergenza e indica strategie produttive e contrattuali di medio periodo, emblematiche di come si deve affrontare la crisi di un sistema industriale produttivo territoriale.
Una prima novità è l’approccio integrato che prevede non proposte isolate ma un insieme organico di politiche economiche, industriali e del lavoro necessarie a ridare prospettiva all’area del pordenonese.
È una proposta controcorrente perché le centinaia di crisi aziendali oggi in atto sono affrontate per lo più in modo parziale, con interventi tampone, spesso solo assistenzialistiche, senza una strategia che incida sulle cause della crisi, con la conseguenza che le crisi si trascinano per mesi e mesi senza soluzioni e con spreco di risorse pubbliche.
Questo nuovo approccio costituisce un inversione anche nella cultura e nelle politiche del lavoro e delle relazioni industriali. Queste sono tradizionalmente utilizzate come uno strumento di protezione dei lavoratori dai guasti della crisi cioè come un “pronto soccorso” su cui si scaricano gli effetti di situazioni aziendali e territoriali non produttive e senza prospettive.
Qui invece si propongono relazioni industriali innovative come strumento di sviluppo per superare l’emergenza e rilanciare le crescita. Si prevedono sacrifici per i lavoratori, ma in cambio di una prospettiva concreta di rilancio produttivo ed occupazionale.
Il metodo proposto punta sull’iniziativa delle parti sociali, imprese e sindacato, con una interlocuzione diretta nei confronti delle Istituzioni locali, Regione Friuli Venezia Giulia in primis. Tutte le misure previste possono attuarsi “a legislazione invariata” cioè a prescindere da modifiche normative. A conferma che si può fare molto senza invocare l’ennesima riforma del lavoro.
Le proposte specifiche in tema di relazioni industriali sono contenute in una bozza di accordo territoriale, ben diverso dai generici patti territoriali, spesso sottoscritti senza impegni veri e ricadute certe. Gli impegni sono proposti al sindacato e alle istituzioni in modo dettagliato in cinque aree complementari: riduzione del costo del lavoro, forma di flessibilità, ammortizzatori sociali, misure di welfare, interventi nella formazione delle risorse umane e nella cultura organizzativa.
Questi impegni non si riducono “a tagli di costi”. Sono accompagnati da una parte con misure puntuali di sostegno all’occupabilità, di politiche attive e di welfare; dall’altra con misure di politica industriale coerenti con la vocazione del territorio, finalizzate a rilanciare la competitività delle imprese e le prospettive dell’occupazione.
La riduzione del costo del lavoro si realizza soprattutto col superamento di istituti retributivi accumulati nel tempo in modo automatico e rigido oltre le basi del contratto nazionale, soprattutto scatti di anzianità, premi cosiddetti di risultato ma diventati da tempo fissi.
Alla contrattazione aziendale viene affidato il compito di introdurre forme di flessibilità finalizzate a migliorare la competitività delle imprese interessate, non solo Electrolux, ma potenzialmente tutte le imprese del territorio. Si punta non sulla flessibilità esterna basata su precarietà e licenziamenti, ma sulla flessibilità gestionale: orari multiperiodali capaci di reagire alle variazioni sulla domanda in modo più flessibile e meno precarizzante del continuo ricorso a contratti a termine; revisione delle pause e del regime delle festività; maggiore mobilità professionale, anche in deroga all’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, accompagnata da investimenti formativi mirati alla riqualificazione delle persone interessate.
L’innovazione riguarda anche l’ambito degli ammortizzatori sociali per renderli più attivi e socialmente accettabili.
Priorità ai contratti di solidarietà rispetto alle casse integrazioni, limiti alla durata di queste per il tempo necessario al riassorbimento, tutele accompagnate da procedure e servizi di outplacement, stimolati da strumenti di premialità e dalla rimozione di limiti all’impiego (distanza, equivalenza delle mansioni), dall’ampliamento delle casistiche (sono utili anche lavori a tempo determinato). A ciò si aggiunge un impegno rafforzato per far funzionare la cosiddetta condizionalità, cioè la norma che esclude dall’indennità di disoccupazione chi rifiuta una congrua offerta di lavoro. L’effettività di questo impegno dipenderà, come altre parti dell’accordo, dalla capacità di tutte le parti di farlo rispettare: sindacati, imprese, e operatori privati e pubblici che prendono in carico i disoccupati.
La scommessa è che questo impegno possa essere uno strumento e operativo e controllato in un territorio che ha tradizione di buona amministrazione e di relazioni industriali e per altro verso consapevole della necessità di lavorare assieme per evitare il declino.
Le misure proposte nel protocollo riflettono con adattamenti al contesto italiano, gli obiettivi sperimentati con successo altrove della cosiddetta flexicurity. La vicina Austria e Germania hanno attivato lo scambio virtuoso fra flessibilità utile alla produttività e tutela della sicurezza del lavoro/non del posto. Tale scambio ha permesso di superare le crisi di questi anni meglio di quanto non stia facendo il nostro sistema il quale ha puntato troppo sulla flessibilità esterna – contratti a termine e licenziamenti – e poco su quella gestionale e non ha messo in opera politiche di attivazione utili a ridurre al minimo l’uso passivo degli ammortizzatori.
Il territorio è un luogo più adatto a favorire questi scambi virtuosi – più dei tanti tavoli nazionali – perché permette di mobilitare tutti gli attori sociali e pubblici fra loro vicini e di controllare meglio i processi e i risultati.
A tal fine il protocollo di Pordenone valorizza la partecipazione delle parti in due direzioni all’interno delle imprese, prevedendo forme di partecipazione azionaria dei lavoratori, sostenute anche da un fondo regionale a ciò destinato; e sul territorio, con una commissione bilaterale fra le parti incaricata di monitorare l’attuazione degli impegni e di graduarli a seconda delle condizioni aziendali: delle imprese in crisi come Electrolux, ma anche di quelle nuove aziende interessate a insediarsi sul territorio beneficiando dei vantaggi competitivi offerti dall’accordo.
La sfida di questa proposta riguarda tutti gli attori del sistema. Provoca il sindacato ad accettare forme nuove di organizzazione del lavoro e sacrifici temporanei ma in vista di una prospettiva di rilancio economico e occupazionale – sostenuta dalle istituzioni e regolata da istituti partecipativi.
È uno scambio difficile ma che presenta potenzialità positive; a differenza di quanto si verifica su molti tavoli di crisi, dove la paura o il rifiuto di innovare, anche con sacrificio, precluda ogni prospettiva e prepara lunghi periodi di decadenza e di perdite occupazionali.
Il protocollo costituisce uno stimolo anche per le istituzioni pubbliche locali, a cominciare dalla Regione. Essa è chiamata a usare meglio gli strumenti a sua disposizione, nel caso del Friuli Venezia Giulia, particolarmente incisivi: la formazione professionale e continua per finalizzarla meglio alla riqualificazione dei lavoratori e degli imprenditori; il coordinamento fra le funzioni scolastiche e le richieste del mercato; agevolazioni fiscali alle imprese che accettano di imboccare il percorso virtuoso concordato; politiche attive e servizi di sostegno sia ai lavoratori da ricollocare, sia ai giovani da avviare al lavoro; sostegno a istituti di welfare integrativo, dalla sanità integrativa ai servizi alla persona, agli aiuti alla educazione dei figli. Misure del genere sono utili per compensare in parte il contenimento della retribuzione monetaria, sia per migliorare le condizioni di vita e di salute dei lavoratori e delle loro famiglie. L’esperienza di altre aziende ha mostrato che simili misure di welfare possono integrare efficacemente il reddito reale dei lavoratori e contribuire insieme alla motivazione delle persone e alla competitività aziendale. Inoltre lo sviluppo di azioni di welfare costituisce una fonte di occupazione qualificata di servizi essenziali per il futuro della nostra economia dove l’industria resta centrale ma la crescita dell’occupazione si concentrerà nei servizi alla persona e alle imprese.
Anche per valutare l’equilibrio fra i sacrifici richiesti ai lavoratori e le prospettive di rilancio, va considerato l’insieme degli impegni del protocollo.
La prospettata riduzione del 20% del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) non comporta un equivalente taglio della retribuzione, perché i vantaggi fiscali legati alle misure di welfare e ai premi negoziati possono aumentare (a parità di costo) il valore reale delle retribuzioni come confermato da altre esperienze aziendali. Inoltre, gli investimenti e le innovazioni organizzative previste nel protocollo possono aumentare la produttività aziendale e quindi migliorare il rapporto fra costo totale del lavoro e costo per unità di prodotto. Ma queste condizioni vanno verificate nel tempo tramite la commissione bilaterale se si vuole che i sacrifici concordati siano effettivamente utili e che l’accordo sia credibile.
I poteri del Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, possono permettere sperimentazioni avanzate in tutte queste aree, anticipando ed arricchendo iniziative nazionali che si stanno faticosamente avviando: dalla garanzia giovani, al rafforzamento dei servizi, all’impiego anche con la istituzione di un’Agenzia federale del lavoro, indicata nel programma di Renzi.
Gli impegni del laboratorio Pordenone dovranno essere verificati al più presto con tutti gli attori sociali; a cominciare dal sindacato. È essenziale che su di essi si formi consenso vero, che questo sia durevole nel tempo e sostenga la fase applicativa del protocollo, quella decisiva più che mai su cui altri patti sono falliti.
Le condizioni drammatiche delle situazioni di crisi, non solo a Pordenone, non permettono di perdere altre occasioni.
Occorre dare subito la prova della serietà e della tenuta degli impegni per convincere gli azionisti di Electrolux che vale la pena di restare in Italia, e più in generale per mostrare che il nostro paese può essere ancora un luogo di crescita e di buona occupazione.
È importante che sia così, perché il protocollo di Pordenone può diventare un prototipo da sperimentare anche in altri territori italiani, cosicché le buone politiche di innovazione e di sviluppo sperimentate in questo territorio non restino isolate ma facciano scuola.