Mario Draghi invita a non drammatizzare e a essere invece realisti. Le previsioni economiche sono molto negative e giustamente il presidente del Consiglio cerca di calmare le acque e di guardare con fiducia al futuro. Ma non è facile. La crescita del Pil nella versione del Def, il documento di economia e finanza, in pratica il compendio della strategia economica dell’esecutivo per l’immediato futuro, potrebbe essere nel 2022 del 3,1%, abbastanza meno del 4,7% che era stato previsto qualche mese fa. Ma il Centro studi di Confindustria, nel documento che ha diffuso sabato scorso, ha indicato una cifra molto minore, quella dell’1,9%. Una differenza non di poco conto anche perché la previsione di Confindustria è stata costruita nell’ipotesi che la guerra in Ucraina finisca entro il mese di luglio, che la pandemia resti circoscritta, che gli obiettivi del Pnrr siano tutti conseguiti.
Il punto è che è possibile, se non probabile, che le cose vadano molto peggio di così. La guerra ai confini dell’Europa ha un andamento incerto, è difficile che duri ancora molto a lungo, ma questa ipotesi non è affatto scartata dagli analisti internazionali. La pandemia ha andamenti sussultori, di fronte al dramma della guerra stiamo facendo finta di niente, anche perché tutti vorrebbero che si tornasse davvero alla normalità: ma siamo tuttora preda delle varianti e se il caldo (che peraltro non arriva) vince sul Covid non è detto che qualcosa non succeda a breve. E lo stesso vale per l’attuazione del Pnrr. La commissione della Ue che è venuta in Italia per una verifica dei conti e delle previsioni è ripartita con un bilancio positivo, tutto procede secondo quanto previsto, ma i conti stanno crescendo impetuosamente, in molti casi questi aumenti sono superiori all’8%, il limite oltre il quale le previsioni di spesa devono essere aggiornate, per cui non è da escludere una revisione generale dei programmi, anzi questa eventualità è stata già data per scontata.
Insomma, la situazione è grave e se è comprensibile e giusto che da Palazzo Chigi si inviti alla calma non è detto che si debbano chiudere gli occhi di fronte a una realtà sgradita. Del resto, il dato dell’inflazione è sotto gli occhi di tutti, siamo già al +6,7% e non consola che la Germania faccia segnare un +7,3% e la Spagna un +9,8%. E la situazione non può che peggiorare. Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, ha detto che già il 16% delle imprese ha dovuto ridurre la produzione e che un altro 30% potrebbe essere costretto a farlo nel giro di un trimestre. Bastano queste poche cifre per capire che la situazione potrebbe peggiorare notevolmente e che sarebbe bene cominciare a pensare cosa fare, come prepararsi a questa eventualità, quali strategia occorre attuare per evitare il peggio.
Forse è arrivato davvero il momento di considerare l’opportunità di uno sforzo congiunto delle forze in campo, governo, imprese e sindacati, che riesca a delineare una politica che non sia solo di attesa. Questo nella considerazione che ciascuna forza da sola non può cogliere il risultato necessario. Il governo ha già deciso di aiutare ancora di più sia le famiglie che le imprese, ma questi sforzi, che non sono certo pannicelli caldi, perché l’impegno previsto è elevato, possono non essere sufficienti. Occorrerebbe far crescere la previsione di investimenti, che dopo un 2021 esaltante hanno imboccato una discesa preoccupante. E in generale le imprese hanno bisogno di vedere crescere la linea della produttività, che è poi la misura del successo sui mercati, interni e soprattutto internazionali. Ma la produttività non cresce solo per un effetto di volontà, servono atti concreti e in questo il sindacato può avere un compito molto importante perché è con gli accordi in fabbrica e per la fabbrica che si può produrre di più e a costi decrescenti.
Certo, servirebbe una volontà precisa di voler cambiare abitudini rispetto al passato. Draghi ha detto che è necessario l’aiuto di tutti ed è encomiabile che l’abbia detto. Peccato che poi abbia convocato i vertici di Cgil, Cisl e Uil a Palazzo Chigi per discutere di strategie economiche per il giorno immediatamente successivo alla definizione del Def. Se li avesse chiamati il giorno prima non sarebbe cambiato molto, perché le previsioni sono quelle e non cambiano rapidamente, ma sarebbe stato un messaggio di voler fare le cose assieme, di voler cercare l’aiuto di tutti. Non c’è bisogno di scomodare i ricordi della concertazione, basterebbe darsi fiducia l’uno verso gli altri.
E’ vero che Bonomi e Draghi in occasione dell’assemblea di Confindustria in autunno fecero l’offerta al sindacato di un grande patto sociale e una parte del sindacato, la Cgil, ma anche la Uil, non mostrarono particolare entusiasmo a differenza di quanto invece fece Luigi Sbarra, il segretario generale della Cisl, sempre favorevole al dialogo. Ma è anche vero che dopo quella sortita nessuno tentò altro, nessuno per mesi e mesi ha avanzato una proposta precisa, nessuno ha cercato di forzare la mano a Maurizio Landini. Ma un vero patto sociale non si costruisce in un giorno, ci si avvicina con cautela, con la consapevolezza che il percorso sarà lungo e magari faticoso, ma con la volontà di provare e riprovare fino a che non si coglie un risultato.
Le relazioni industriali hanno mostrato di poter svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione di un futuro migliore, gli esami sono stati superati anni fa, adesso sarebbe stucchevole tornarci su. La cosa migliore sarebbe quella di decidersi a cercare, ma veramente, cosa è possibile fare, quali potrebbero essere le scelte decisive e avviarsi rapidamente su questa strada. Adesso Draghi ha avviato con i sindacati un processo di dialogo che potrebbe essere molto interessante. Ma serve una effettiva volontà di parlarsi, mentre mancano perfino le occasioni di confronto. Adesso il compito deve essere per tutti quello di guardare fino in fondo cosa possono fare le imprese e cosa il sindacato, come sia possibile coniugare assieme il desiderio delle imprese di raggiungere maggiori vertici di produttività, come i sindacati possano aiutarli in questa ricerca, come si possa convincere i sindacati, e i lavoratori, a convergere le azioni a questo fine. Se non ci si riuscisse ancora una volta le catastrofiche previsioni economiche non potrebbero che peggiorare.
Massimo Mascini