Maurizio Sacconi vuole stringere un patto con gli attori delle relazioni industriali. Un patto che spinga tutti a moltiplicare le azioni utili a stimolare la crescita e allo stesso tempo assicuri che, nel caso in cui effettivamente l’economia tornasse a correre, i proventi di questo risultato non sarebbero trattenuti dalle aziende, ma oggetto di una equa ripartizione.
Parlando in Confindustria alla presentazione di uno studio del Centro studi sui temi della produttività e della povertà, il ministro del Lavoro ha insistito molto su questo concetto di ripartizione, spiegando da un lato che sarebbe questo stesso atto un forte contributo alla crescita, da un altro lato che un risultato del genere non può che essere il punto di arrivo di una politica centrata non sul conflitto e l’antagonismo, ma sulla collaborazione. Un impegno alla distribuzione dei benefici della crescita che verrebbe assicurato dalle imprese, ma anche dal Governo.
Per cogliere i risultati della crescita servono naturalmente delle azioni utili a stimolare la ripresa e per questo è opportuno agire sulla produttività, ha detto il ministro, ma più in generale sulle condizioni di contesto perché creino risultati utili alle imprese. Anche dal tavolo dove si negozia il sistema di contrattazione, ha aggiunto, possono venire novità importanti in questa direzione, soprattutto, ha specificato, per quanto si riferisce all’orario di lavoro, eliminando alcune rigidità proprie della contrattazione collettiva, soprattutto per quanto si riferisce alla pratica esigibilità di riduzioni concordate, ma difficili da realizzare.
La sua è stata un’apertura a tratto generale e per questo ha invitato le parti sociali a non dare troppa importanza alla polemica sul tasso di inflazione programmata dal Governo all’1,7%. Una discussione datata, ha detto, noccioline per il singolo, ma non per la collettività e per i conti pubblici, che devono essere in ordine per rappresentare la prima garanzia di realizzabilità della crescita generale. I temi rilevanti, ha detto, sono solo quelli che possono portare in alto l’economia, e per questo ha insistito perché la detassazione del salario variabile varata dal Governo trovi una risposta al tavolo sulla struttura contrattuale, ma anche nel tavoli tripartiti dove si trattano i temi della politica economica.
Tutto ciò, ha detto Sacconi, senza però dimenticare la forte emergenza sociale esistente, che riguarda la povertà. Non quella relativa o quella percepita, ma quella assoluta, che colpisce i ceti più deboli, che stentano a vivere. Il ministro ha ricordato la sua contrarietà verso meccanismi automatici di crescita del salario, perché deve esserci sempre un riferimento all’impegno e alla partecipazione, ma questa situazione, ha detto, è diversa, perché chi lavora ha diritto a una tutela precisa. Evidente il suo ragionamento, che distingue chi lavora, e quindi deve essere pagato per l’apporto che realmente dà, per i risultati che riesce a ottenere, da chi vive di una pensione, quindi non lavora, e non può aumentare il suo impegno o collaborare alla crescita.
Impegno del Governo, ha detto ancora il ministro, sarà anche la stabilizzazione della spesa previdenziale e per questo si renderà automatico l’adeguamento dei coefficienti. Sarebbe stato bello, ha detto il ministro lasciandosi andare, se la riforma Maroni non fosse stata modificata e avessimo ancora lo scalone. Peccato, ha detto, perché c’era stato chi aveva fatto il lavoro sporco e adesso avremmo potuto goderne tutti i benefici.
26 giugno 2008
Massimo Mascini