Dopo il Patto per il Lavoro del 2015, la Regione Emilia Romagna ha firmato ieri un nuovo importante Patto per il Lavoro e per il Clima con oltre 50 tra associazioni (fra cui Cgil Cisl Uil, Confindustria, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, LegaCoop, ecc.), istituzioni (Comuni, Province, Anci) e Università emiliane. Si tratta di un documento di portata decennale che vuole coniugare sviluppo e lavoro in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 sulla sostenibilità (ambientale, sociale ed economica). E che parte da un assunto molto netto e programmatico: “Lo sviluppo o è sostenibile o non è”.
Già dopo il Patto del 2015 in Emilia Romagna è cresciuta in termini significativi l’occupazione. È molto probabile, data la convergenza e il peso dei soggetti firmatari, che anche questo Patto avrà effetti positivi sull’economia regionale, il lavoro e l’ambiente. Anche perché l’accordo orienta in maniera inequivocabile le risorse che arriveranno dall’Unione Europea. La sua griglia si articola infatti per Obiettivi strategici (Conoscenza e Saperi, Transizione ecologica, Diritti e Doveri, Lavoro e Imprese) e Processi trasversali (Trasformazione digitale, Semplificazione, Legalità, Partecipazione), orientati su innumerevoli e concrete Linee di Intervento dirette alle Città, ai territori, alle Aree Interne.
Oltre a indirizzi generali e progetti concreti di intervento il Patto contiene anche impegni precisi per una gestione “partecipata” della sua attuazione e per una verifica della loro efficacia sul territorio regionale. Chi vuole approfondire trova qui tutte le informazioni e i dettagli necessari https://www.regione.emilia-romagna.it/notizie/primo-piano/nuovo-patto-per-il-lavoro-e-per-il-clima.
Il Patto dell’Emilia Romagna è importante anche perché indica una strada che sembrava a tutt’oggi impraticabile, se non utopistica. L’idea che per uscire dall’emergenza e impostare un nuovo modello di sviluppo in linea con l’Europa (green e social deal) si debba costruire la più larga convergenza delle forze sociali, economiche e istituzionali sulla direzione da far assumere agli investimenti pubblici e privati. Senza questa convergenza la spesa si suddivide in mille rivoli e diviene meno efficace. Il Patto dell’Emilia Romagna dimostra che si può fare: che si può discutere cercando le convergenze e non le divergenze spesso pretestuose. L’accordo raggiunto in Emilia Romagna conferma anche che l’ambito del “territorio” è indispensabile se si vuole che le scelte di politica economica siano concretamente operative: che le città, le campagne, le Aree interne sono un soggetto protagonista della programmazione e della spesa, non solo un destinatario.
Auspichiamo che la Conferenza delle Regioni esamini la possibilità di replicare il metodo e le scelte strategiche del Patto dell’Emilia Romagna adattandolo alle proprie realtà territoriali.
Resta solo una domanda. Come mai le grandi organizzazioni che hanno voluto, scritto e firmato il Patto per il Lavoro e per il Clima in Emilia Romagna non chiedono al Governo nazionale, in analogia, un Patto per il Paese che ci faccia uscire dall’emergenza impostando un modello di sviluppo sostenibile? Se volessero potrebbero farlo. È una domanda che propongo a tutti perché io non saprei cosa rispondere.
Gaetano Sateriale