Di Maurizio Ricci
Un paese di santi, poeti, navigatori, forse, ma di inventori, oggi, no. Nel momento in cui l’innovazione appare a tutti l’arma vincente dell’economia del XXI secolo, l’Italia scompare quasi dal quadro, rassegnandosi a farsi trainare dalla tecnologia altrui. Perché altrove, invece, il brulichio di idee e scoperte c’è. L’Ufficio brevetti europeo (Epo) segnala che il 2013 è stato un anno record per le domande di brevetti. Ne ha ricevute oltre 266 mila, il grosso da Usa e Giappone, con il contributo crescente di Cina e Corea e, in Europa, di paesi come Olanda e Irlanda. L’Italia? Confusa nel gruppone: ci sono dieci paesi più vitali di noi. E, invece di andare avanti, andiamo indietro. Nel 2013 le richieste di brevetti provenienti dall’Italia sono state 4.662, quasi 150 in meno dell’anno scorso, che già aveva visto un calo rispetto al 2012. Di fatto, solo una richiesta di brevetto su 50 viene dall’Italia: 60 per ogni milione di abitanti, contro una media europea di 129. Paghiamo, ancora una volta, la struttura della nostra industria, l’esercito delle nostre aziende nane, una dimensione inadeguata per premere sull’acceleratore della ricerca e sviluppo.
Infatti, dice l’Epo, due terzi delle richieste di brevetti vengono da grandi aziende, solo il 30 per cento dalle medie e piccole, mentre università e istituti pubblici di ricerca contribuiscono solo per il 5,5 per cento. Chi sono gli sprinter del brevetto? Soprattutto i coreani. La Samsung è l’azienda che, in assoluto, ha presentato più richieste. Al quarto posto c’è un altro gigante dell’elettronica, la Lg. Da sole, queste due aziende hanno presentato tante domande quanto l’intera industria italiana. Nei primi posti, anche i tedeschi della Siemens, della Basf, della Bosch e gli olandesi della Philips. A completare la top ten, i giapponesi di Mitsubishi, gli americani di General Electric e Qualcomm, gli svedesi della Ericsson.
E gli sprinter italiani? L’azienda italiana che ha presentato più domande di brevetto viene dalla petrolchimica ed è la LyondellBasell che, peraltro, è una multinazionale di matrice americana, ma ha un suo importante centro di ricerche (dedicato a Giulio Natta, l’inventore del Moplen) a Ferrara. Affonda nella storia dell’industria italiana anche la seconda azienda in classifica, un alfiere dell’elettrodomestico italiano, l’Indesit. Come un nome illustre è la terza, ancora dalla chimica, la Solvay. Le altre più attive sono la Tetra Laval (imballaggi), la Chiesi farmaceutici, la Pirelli e Finmeccanica, per il settore difesa e aerospazio.
Le classifiche dell’Ufficio europeo brevetti confermano, peraltro, le tradizionali eccellenze dell’industria italiana che, per quanto significative e importanti, sono marginali rispetto a quelli che, oggi, sono i settori trainanti dell’innovazione mondiale (elettronica, telecomunicazioni, genetica, energia sostenibile). In materia di progetti e proposte da brevettare, gli italiani sbaragliano il campo in quattro settori: handling, impianti e macchinari speciali, ingegneria civile, trasporti e attrezzature. Alcuni nomi di queste incubatrici italiane di innovazione nei quattro settori sono noti, altri meno: Tetra Laval, Gd, Marchesini, Cifa, Fabio Perini, Sasib, Savio macchine tessili sono ai primi posti per quanto riguarda il settore handling. Mentre, per quanto riguarda le attrezzature, spiccano Leonardo, di nuovo Indesit, Lavazza, F.A.S. Internationale e N&W Global Vending.