Tutti parlano di connessione. Ma viviamo in un Paese sconnesso. Troppe diseguaglianze: economiche, sociali, di lavoro, istruzione, salute, aspettative di vita, servizi pubblici, benessere. Persino una sconnessione tra enti di governo dei territori (regioni, province, città metropolitane, comuni). Le Regioni non dialogano fra loro per decidere le politiche da adottare, ma solo per ripartirsi i fondi statali. Le Province sono state trasformate in zombi senza creare nessun nuovo ente di Area Vasta. Le città metropolitane hanno funzioni sproporzionate alle risorse e ai poteri reali di coordinamento. I Comuni sono troppi e in maggioranza troppo piccoli per poter gestire in maniera efficiente i servizi di base per i cittadini. La politica diserta il sociale.
Gli Stati Generali della Cgil sul Territorio chiedono una politica economica più attenta ai bisogni delle persone e dell’ambiente: delle comunità e dei tanti territori che compongono il nostro Paese. Non solo la chiedono al governo nazionale e ai governi regionali e locali, ma si preparano a impostarla per via contrattuale. Una contrattazione territoriale multilivello per lo sviluppo e il lavoro che parte dal basso e tenta di connettere fra loro i territori e le amministrazioni.
È probabilmente vero che anche in Italia si avvertono sintomi di ripresa. Soprattutto trainata dalla domanda estera che corre più veloce della nostra. La ripresa tuttavia non riguarda l’intero apparato economico italiano, non riguarda tutti i territori, non produce domanda di lavoro in grado di riassorbire la disoccupazione con lavori dignitosi. L’idea che basti una crescita settoriale a trascinare (prima o poi) tutta l’economia e produrre benessere sociale è un’illusione. La teoria della “mano invisibile” di Smith, da quando è stata concepita, non ha mai funzionato. Che la condivida Confindustria è comprensibile, perché ne riceve i benefici fiscali. Che la teorizzi la sinistra è segno di quanto il mito liberista si è diffuso e di quanto la cultura politica si sia impoverita.
La Cgil, secondo gli indirizzi del suo Piano del Lavoro, vuole invertire la direzione della politica economica degli ultimi governi. Partire dai bisogni delle persone e del Paese e non da quelli delle imprese per creare sviluppo. Partire dalla necessità di corrispondere servizi a questi bisogni creando nuovi mercati e non distribuendo benefici fiscali a pioggia alle imprese indipendentemente da cosa, dove e come producono. In gergo economico si direbbe partire dalla domanda interna (consumi e investimenti) invece che da quella estera.
Basta ascoltare le belle trasmissioni di Radio 3 il mattino (la Rassegna Stampa, Tutta la città ne parla) per avere un quadro preciso dei bisogni quotidiani delle persone, di ciò che non funziona nella vita di tutti i giorni: sanità, trasporti, istruzione, infrastrutture, degrado urbano, spopolamento, sicurezza, ecc Basta ragionare in un’ottica di prevenzione e non di emergenza per capire che il Paese ha bisogno di manutenzione straordinaria per ridurre i rischi idrogeologici, sismici, vulcanici, industriali, ambientali, di salute.
Anche la tanto reclamizzata rivoluzione digitale può essere considerata un salto tecnologico delle imprese per le imprese oppure una straordinaria occasione per produrre nuovi servizi che rispondano ai bisogni delle persone e del territorio. Si pensi, ad esempio, all’invecchiamento della popolazione, alla solitudine, alle cronicità e a cosa può fare la telemedicina per rispondere a questi nuovi bisogni. Oppure a quanto una sensoristica diffusa e non improvvisata possa prevedere e allertare le autorità preposte in caso di pericolo di frane o esondazioni.
Negli Stati Generali sul Territorio la Cgil ha lanciato una contrattazione diffusa, multilivello (locale, regionale, statale, per lo sviluppo e il lavoro che parta dai territori e trasformi i bisogni in piattaforme e progetti.
In altre parole si potrebbe dire che la Cgil, nel vuoto della politica e del Governo, intende avviare la realizzazione dei 17 obiettivi Onu dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile. Quegli obiettivi parlano di povertà, salute, educazione, eguaglianza di genere, qualità dell’acqua, energia pulita, nuove infrastrutture, ridurre le diseguaglianze, migliorare le città, salvaguardare i mari e il territorio interno. Non sono obiettivi per i paesi poveri, sono per tutti. E anche in Italia possono diventare vettori di sviluppo e di innovazione. Investire sul welfare delle persone e del territorio può significare innovazione, crescita e lavoro. Un programma di prevenzione dai grandi rischi e di sviluppo delle aree interne e delle periferie degradate possono essere lo strumento con cui partire.
Di questo abbiamo discusso con i vertici delle strutture tecniche del Governo preposte (Casa Italia, Aree Interne, Commissario al Terremoto, Istituto Grandi Rischi) trovando molte convergenze tematiche e molte disponibilità a collaborare nazionalmente e nei territori.
Ora tocca a noi partire.
Gaetano Sateriale