La disgregazione morale del paese è ormai evidente oltre ogni ragionevole dubbio. Non esiste alcun settore della vita pubblica che sia esente da quel familismo amorale, intriso di corruzione, che ha avvelenato i pozzi del nostro vivere civile.
Gli organi di vertice della magistratura sono stati coinvolti in vergognose commistioni con il potere politico in cui si scambiavano poltrone e incarichi di prestigio con una maggiore benevolenza e un occhio di riguardo nei processi in cui importanti esponenti politici erano coinvolti.
L’università, che dovrebbe valorizzare il merito scientifico e l’autorevolezza dei propri docenti, si è confermata essere una specie di comitato di amici degli amici, una spectre con tanto di codici criptati, in cui si decidevano a tavolino le carriere in un do ut des che dovrebbe indurre alle dimissioni immediate tutti i professori coinvolti, se solo avessero un barlume di dignità.
La politica fa il resto, ma forse è solo lo specchio di un paese ormai desertificato in termini demografici e soprattutto in termini di prospettive future, in quello che P.P. Pasolini intendeva per progresso.
E’ adesso chiaro come il tentativo di frenare la destra usandone il linguaggio e agitandone gli spettri (in primis quello degli emigranti che mettono in pericolo la nostra civiltà rubandoci il lavoro e le case popolari) è stato un errore catastrofico. Si è creato un varco attraverso il qual la crisi ha spazzato via quanto di solidarietà e tolleranza si era costruito dal dopoguerra ad oggi.
Ora lo riconosce anche Renzi lamentando un eccesso di prudenza nel non avere spinto per lo ius soli e nell’essersi fatto condizionare da un Alfano, di cui si è perso anche il ricordo.
L’accordo di Minniti con la Libia ha fatto il resto: si è consegnato i dannati della terra dell’età moderna a dei tagliagole spregiudicati e per premio si è dato loro risorse, mezzi e addestramenti.
Certo, all’inizio nessuno poteva immaginare che i centri di detenzione libici si sarebbero trasformati in campi di concentramento, ma dopo, quando l’orrore di quei luoghi è diventato evidente, non averlo denunciato è stato un delitto.
E così la società è gradualmente sprofondata nell’indifferenza e poi, sempre più giù, nella cattiveria e nel razzismo. Una cattiveria che riguarda tutti, ivi compresi i cattolici molti dei quali preferiscono il capitano a papa Bergoglio. Si va in chiesa, si esibisce il rosario ma, in barba al Vangelo, si odiano gli stranieri, specie se di colore nero.
Il sentimento sempre più comune è che anche i naufraghi sono indegni di trovare ristoro; che se ne vadano al diavolo, dovunque essi vogliano, ma non nelle nostre terre disabitate.
La situazione è grave. Risalire la china è difficile, ma sarebbe peggio rinunciare alla speranza.
Bisogna ripartire a dire chiaramente che società si vuole, rinunciando a quell’ambiguità, a quel dire e non dire che ha tirato la volata ai sovranisti, ai mentitori che promettono riscatti presto e subito e che fanno proseliti fomentando odio e paure che non esistono.
La sinistra deve svegliarsi e lanciare un suo programma aperto e senza le solite intollerabili preclusioni, in cui il lavoro, i diritti, l’accoglienza ritornino ad essere valori di cui non vergognarsi. In cui le diseguaglianze cessino di essere l’effetto collaterale ineliminabile dello sviluppo e in cui si mettano in atto politiche per limitarne la portata.
Un programma semplice senza incertezze e più chiaro più di quello che ha fatto la fortuna del capitano.
Un’impresa che vale la pena di essere tentata per il bene di questo paese sempre più desertificato
Roberto Polillo