Un paese in bilico. L’Italia resta così, in un equilibrio precario, molto precario, in attesa di sapere cosa accadrà mercoledì prossimo, quando Mario Draghi, per rispondere alla richiesta di Sergio Mattarella, si presenterà alle Camere. Per fare cosa non si sa, forse per chiedere se esiste ancora una maggioranza che sostenga il suo governo, forse per comunicare a senatori e deputati che la sua avventura politica è finita. E’ più probabile che si avveri la seconda di queste due ipotesi, soprattutto considerando il carattere e la fermezza dell’attuale capo del governo, ma tutto è possibile.
L’uscita di scena di Draghi, se così avverrà, non sarà indolore. Al contrario, può fare molto male. Che si vada a nuove elezioni, come imperiosamente chiede Giorgia Meloni dall’alto delle ottime previsioni elettorali per il suo partito, appare molto improbabile. La posta in gioco è infatti altissima. Non c’è solo da mettere a punto la legge di bilancio, e solo Draghi può riuscirvi, ma il compito più importante che attende il governo, quale che sia, è la conclusione degli impegni legati alla realizzazione del Pnrr. Se entro l’anno non si realizzeranno tutte le riforme chieste da Bruxelles, l’impegno europeo rischia di cadere, e i miliardi di euro che ci sono stati promessi potrebbero non arrivare mai. Inoltre, poiché sarebbe molto difficile affrontare la campagna elettorale e nello stesso tempo dare luogo a tutte le riforme richieste dagli impegni europei, la cosa più prevedibile è che le elezioni siano rimandate alla loro scadenza naturale, la primavera prossima, e se Draghi confermasse mercoledì di voler lasciare, un governo super tecnico, quale che sia, anche senza una maggioranza politica, assolverebbe i compiti che restano.
Insomma, il Paese potrebbe anche uscire da questo impasse, non manca certo la fantasia politica per escogitare una soluzione. Ma resta il fatto che l’Italia sembra aver gettato al vento le chances di essere finalmente un paese serio, che sa cogliere le opportunità che gli si presentano, che può esprimere una fermezza e un’autorevolezza che troppe volte sono mancate. Draghi ha rappresentato materialmente, in carne e ossa, questa opportunità. Con il suo governo sono state raggiunti obiettivi che da anni erano rincorsi senza alcuna possibilità di essere raggiunti, abbiamo conquistato una credibilità politica in tutto il mondo, siamo tornati a essere un paese centrale negli equilibri che governano l’Unione europea. Abbiamo riacquistato dignità di grande nazione. Non è che adesso, con la sua uscita di scena, tutto questo debba sparire, anche se verrebbe da dire che effettivamente questo accadrà. Tutti vogliamo sperare che comunque il paese riuscirà a trovare un suo equilibrio, solo che tutto diventa più difficile.
E poi c’è il risvolto economico e sociale che preoccupa fortemente. Appena si è sparsa la notizia delle dimissioni la borsa ha accusato un tonfo considerevole, lo spread, la maledetta spada di Damocle che non ci abbandona mai, è schizzata verso l’alto. Poi l’urto si è ammorbidito, qualche posizione è stata ripresa, ma solo perché si era palesata la possibilità quanto meno di un rinvio dei guai. Ma resta il fatto che senza una guida forte, senza incertezze, come è stata quella di Draghi, la nostra economia rischia di collassare un’altra volta. In questi mesi la produzione industriale, e la crescita del Pil, hanno fatto registrare dati non in caduta verticale, come invece è accaduto in quasi tutta l’Europa, anzi è emersa una tendenza a riprendersi difficile da prevedere, ma questa tenuta in buona parte, oltre alla tenacia dei nostri esportatori, è da addebitare proprio al fatto che il paese poteva contare su una guida priva di incertezze. In economia, è noto, sono proprio le certezze che determinano i successi, gli imprenditori una cosa chiedono per poter lavorare al meglio: di sapere, anche più o meno, cosa accadrà, dopodiché è compito loro aggiustare programmi e strategie di conseguenza. Draghi è stato in grado di assicurare queste certezze, ma adesso comincia un’epoca diversa, nella quale si naviga a vista, nella quale quindi è difficile che si vada lontano.
E poi c’è il versante sociale a preoccupare. Il governo di Draghi non ha risolto i tanti problemi che si sono presentati in questi anni, ma ha mostrato un impegno ad affrontarli. Proprio in questi giorni a Palazzo Chigi sono state poste le premesse per una collaborazione tra governo e parti sociali che potrebbe portare finalmente a risultati concreti. Sindacati e imprenditori hanno risposto all’appello del presidente del Consiglio in maniera positiva. I corpi intermedi hanno visto decrescere in questi anni la loro importanza e solo pochi ritengono determinante l’apporto delle forze sociali per la soluzione dei problemi generali del paese, specie i più acuti, come quelli che si presentano adesso. Ma è difficile dimenticare il ruolo positivo e fondamentale che proprio sindacati e rappresentanze imprenditoriali ebbero all’inizio degli anni 90, quando l’Italia fu costretta ad affrontare una crisi economica, sociale, morale, tra le più gravi mai vissute. All’epoca, assieme, riuscirono a superare quelle emergenze. Erano gli anni 92 e 93, esattamente trent’anni fa. Forse proprio adesso quel miracolo di intesa si poteva ripetere. E non è detto che, in extremis, non si riesca a rifarlo.
Massimo Mascini