Il governo Meloni ha indubbiamente aperto una nuova fase politica e, a mio parere, anche sindacale. Si tratta di un governo che ha ricevuto un consenso elettorale tanto indiscutibile, quanto dal mandato ambiguo. La principale forza di opposizione al Governo Draghi, in questi primi mesi, si è caratterizzata come la formazione politica più convintamente sostenitrice delle azioni intraprese dal precedente esecutivo. È questa una contraddizione? In apparenza sicuramente, ma, a ben guardare, nei principali provvedimenti finora assunti si può intravvedere una certa logica che non esito a definire neo-peronista. Juan Domingo Perón, governò l’Argentina dal 1946 al 1955, con un governo che cambiò radicalmente la struttura economica e politica del Paese. Nato da una vaga ideologia terzomondista, di equidistanza tra socialismo e libero mercato, si caratterizzò presto per essere una variante del “fascismo sociale” ispirandosi, nemmeno tanto nascostamente, al fascismo italiano del quale però non condivise mai l’antisemitismo. Il programma economico di Peron fu caratterizzato da vasti interventi di sostegno al reddito, pescando le risorse dalla capacità del Paese di esportare ingenti quantità di materie prime. Fu una politica che, piano piano, ebbe il sostegno di una parte della sinistra, convertitasi progressivamente al “Peronismo” e dalla parte, maggioritaria, del sindacalismo massimalista che godeva di ampio consenso tra i lavoratori. Come quell’esperimento finì lo sanno in molti: con un colpo di stato dell’esercito, ma soprattutto con un progressivo e inevitabile declino dell’economia Argentina. Il “Peronismo” tornò in auge negli anni ’70 e fu la premessa per il default economico dello Stato, che dovette chiedere l’intervento del FMI per evitare la bancarotta (qualche risparmiatore italiano si ricorderà l’insolvenza argentina per il pagamento dei titoli di stato). Perché questo parallelismo? Innanzitutto per il blocco sociale che viene premiato dalle proposte economiche di questo governo. La flat-tax è la rappresentazione evidente di una cesura, ormai difficilmente sanabile, tra il “popolo delle partite Iva” e i lavoratori dipendenti e pensionati a reddito fisso. I primi godono ormai di un ampio regime di premio fiscale, i secondi, soprattutto quelli del c.d. ceto medio dai 35.000 euro lordi annui in su, sopportano il 70% del versamento fiscale IRPEF. Stiamo parlando di 5 milioni di contribuenti che finanziano il 90% delle spese per lo “Stato sociale” (scuola, sanità, pensioni e sostegni al reddito).
Qualcuno pensa che questa distorsione possa resistere nel lungo periodo senza tragiche conseguenze sociali? La manovra fiscale del Governo ha seppellito ogni traccia di progressività sul prelievo fiscale del reddito individuale, questo nel più totale silenzio delle forze di opposizione e, quel che è peggio delle parti sociali, non mi riferisco solo alle organizzazioni sindacali.
Ma non si tratta solo di quello. La lotta all’inflazione si sta caratterizzando sempre più come un’erogazione di sussidi “per la tutela dei redditi più bassi” le cui risorse vengono drenate, nemmeno tanto nascostamente dal blocco della perequazione delle pensioni che inizia già sopra i 2.100 euro lordi mensili, ossia meno di 1700 euro netti di lavoratori dipendenti che per molti anni ormai hanno versato il 33% della loro retribuzione e che, di fatto, si ritrovano con pensioni che non recupereranno mai il tasso di inflazione. Anche questo, nel silenzio delle Parti sociali, in primis i sindacati (che pure hanno tra quei pensionati lo zoccolo duro del loro consenso). Certo “la tutela dei redditi bassi” è un mantra che difficilmente può essere contraddetto, nemmeno da analisi che hanno dimostrato, che buona parte di questi redditi è figlia della più vasta area di evasione fiscale in occidente. Ultima, per ordine di tempo, l’analisi di Alberto Brambilla del Centro Studi e ricerche Itinerari Previdenziali, nella quale “Secondo i dati Irpef 2019, il 57% degli italiani, vale a dire circa 14.535.000 famiglie su un totale censito da Istat di 25,7 milioni, vive in media con meno di 10mila euro lordi l’anno. È un dato credibile? Difficile pensare che gli abitanti di un Paese del G7 possano vivere in queste condizioni”.
E qui veniamo infine al recente provvedimento governativo intitolato “Pace fiscale” con questi interventi di “sanatoria” si è ormai introdotta una aspettativa, nel blocco sociale di riferimento, per la quale se vinco le elezioni, ci sarà una cancellazione delle tasse che non ho pagato, e anche delle multe (sic).
Insomma dispiace dirlo, ma è rimasto solo il Presidente Mattarella a ricordare che “La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune.”.
Luigi Marelli