In queste giornate un po’ sospese, dedicate a consultazioni che non si sa se porteranno risultati, un dato appare evidente: tutto ciò che viene fatto, tutto ciò che viene proposto dalle forze politiche coinvolte nella possibilità di un nuovo esecutivo, è fatto e proposto soprattutto per mantenere, nella sostanza, la situazione che c’è adesso. Nonostante il vocabolario usato – che parla di rilancio, di un nuovo contratto che duri fino alla fine della legislatura, e così via – quello che viene fatto e proposto non ha davvero una prospettiva, non apre realmente a un futuro, non offre nuovi orizzonti per un’azione di governo. Ciò che viene fatto e proposto evidenzia invece un approccio conservativo ai problemi che urgentemente chiedono essere affrontati, proprio per consentire al nostro paese di andare avanti. E tale approccio conservativo, paradossalmente, è assunto anche da quelle forze politiche che volevano, e a parole vogliono, rivoluzionare il sistema.
Molti sono gli esempi di questo pensare solo al presente. La volontà di non andare a elezioni, peraltro condivisa anche da buona parte dell’opposizione, ne è un segnale manifesto. L’interesse dei vari player in campo a non perdere la propria funzione e il proprio ruolo, neppure in vista di un interesse generale, lo mostra chiaramente. Sul piano economico, poi, la scelta dei ristori, ben giustificata dall’emergenza, viene però a costituire di fatto l’unica risposta alla crisi, che non garantisce a chi è fermo di poter ripartire. Sul piano delle scelte politiche, inoltre, il disinteresse per le giovani generazioni – per le modalità della loro formazione attuale, per ciò che li aspetta fra breve e per quel futuro più lontano a cui certe scelte li vincolano – è ormai un dato di fatto accolto con rassegnazione: tanto non c’è nessuno, neppure i nostri stessi ragazzi, che su questi temi vuole farsi ascoltare. E l’elenco potrebbe continuare.
Riguardo alla necessità di pensare concretamente al futuro, d’altronde, gli attori attualmente in campo, quelli chiamati a prendere l’iniziativa, in realtà si dividono. La questione, come ho detto, pare quasi del tutto scomparsa dall’agenda delle forze politiche e, in particolare, dall’elenco degli argomenti affrontati nelle consultazioni. Le forze economiche, al contrario, hanno di necessità tutto l’interesse a riprendere e a rilanciare la produzione, ma si scontrano, oltre che con i vincoli imposti dalla pandemia, con i consueti blocchi burocratici, che anche l’Europa chiede, inutilmente, di rimuovere. Il sindacato, poi, nella sostanza appare diviso: provocato dal bisogno di cambiare la sua forma, i suoi obbiettivi, i suoi attori per adeguarsi alla situazione che si determinerà una volta finita l’emergenza, e la ricorrente tentazione di rispondere in modo vecchio a sfide nuove, difendendo – in maniera ancora una volta conservativa – tradizionali privilegi.
In ogni caso, in un mondo che già guarda oltre la pandemia, e che la combatte efficacemente proprio perché assume quest’ottica, un atteggiamento imballato, ancorato al presente e ripiegato su di sé, non può che lasciare ulteriormente indietro il nostro paese e condannarlo a un ruolo ancor più marginale. È certamente una questione che concerne, come dicevo, l’iniziativa politica. Ma l’iniziativa politica è assunta da rappresentanti democraticamente eletti, i quali sono espressione della volontà dei cittadini. E questa volontà, a sua volta, è lo specchio della mentalità oggi predominante: la mentalità di chi pensa a salvarsi qui e ora, individualmente o al massimo nella propria ristretta cerchia, e trascura il fatto che, proprio per salvarsi, bisogna avere una visione, sapere dove andare, sapere che cosa fare. È la mentalità di chi non investe ma, se può, risparmia.
In questa situazione, l’idea che i rappresentanti politici siano come noi, senza competenze maggiori, nei campi in cui ciò viene richiesto, di quelle che noi stessi possediamo, mostra tutti i suoi limiti. Se le cose stanno così, infatti, non c’è nessuno che ci rassicuri nelle nostre paure mostrando una via d’uscita e proponendo un progetto adeguato di effettivo rilancio. Auguriamoci allora che il capo dello Stato – che non ha certo il compito d’individuare tale progetto, ma che ha il potere di scegliere chi è in grado di elaborarlo e di realizzarlo – lavori anche in questo caso con la saggezza che gli è propria.
Adriano Fabris