Il conferimento del premio Nobel all’Economia di quest’anno a tre studiosi di economia del lavoro (Diamond, Mortensen e Pissarides) per i loro studi sull’intreccio tra politiche del lavoro e dinamiche della disoccupazione non poteva essere più appropriato.
Quella che è stata una critica di alcuni commentatori (un premio Nobel, come altri quest’anno, troppo collegato all’attualità) appare invece un punto di forza: si valorizzano studi fondamentali per un’uscita consapevole e duratura dalla crisi economica ed occupazionale.
Il fulcro delle ricerche premiate è anche uno dei problemi cruciali del mercato del lavoro italiano: il rapporto tra posti del lavoro disponibili e disoccupazione.
Gli studiosi premiati hanno tentato di dare una risposta scientifica a domande ricorrenti come: “perché permangono molti disoccupati nonostante vi siano consistenti offerte di lavoro? e “in che modo le variabili politiche influenzano la disoccupazione?”
I modelli matematici dei tre ricercatori si occupano di fornire un quadro che analizza e spiega il modo in cui i processi di incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro si incrocino realmente. Il punto focale è capire quale sia il livello ottimale di erogazione di sussidi di disoccupazione in modo che il livello dei sussidi stessi non superi quella soglia che alla fine scoraggia la reale ricerca di lavoro da parte dei disoccupati.
I modelli analizzano e approfondiscono gli studi dinamici rispetto alla curva di Beveridge sul rapporto tra posti di lavoro disponibili e persone prive di occupazione.
Ma gli studi che hanno meritato il premio Nobel all’Economia di quest’anno non si fermano a questo.
Gli ambiti di ricerca coinvolgono il contesto delle politiche pubbliche che favoriscono la ripresa, da parte dei datori di lavoro, dei processi di assunzione oltre che il grado di trasparenza e di messa in risalto delle “opportunità” dei mercati del lavoro stessi. Anche in questo caso è necessario un giusto mix di incentivi alle assunzioni e di analisi dei fabbisogni sia della domanda sia dell’offerta di lavoro. Meccanismi fondamentali anche per evitare fenomeni, ben noti nel nostro paese, come quello dello “scoraggiamento” e della sfiducia da parte delle persone nel proprio possibile reinserimento attivo nel mercato del lavoro.
Come ha sottolineato un collega dei tre premi Nobel, Jean-Paul Fitoussi, “il lavoro è il problema prioritario dell’Unione Europea” e il fallimento degli obiettivi occupazionali della Strategia di Lisbona nell’attuale crisi economica ce lo conferma.
La stessa Strategia di Lisbona aveva fatto dell’occupabilità il perno delle politiche da attivare per il progressivo passaggio dalla tutela del posto di lavoro alla tutela nel mercato del lavoro, confrontandosi con il sostanziale superamento della tradizionale triplice ripartizione tra età dello studio, del lavoro, del pensionamento e individuando nelle riforme dei servizi di accesso al lavoro e ricollocazione dei lavoratori alcuni dei propri cardini.
Molti posti di lavoro persi con l’attuale crisi economica ed occupazionale corrono il rischio di non essere recuperabili in quanto tali: lo sviluppo di nuove tecnologie e la creazione di mercati del lavoro sempre più globalizzati e transnazionali ci rivelano che, in mancanza di politiche per l’occupabilità e strategie di formazione e ricollocazione personalizzate, i rischi occupazionali siano ampi e trasversali a molti settori.
Nel nostro paese ci troviamo di fronte non ad un mercato del lavoro, ma a moltissimi mercati del lavoro, con una segmentazione senza pari in Europa e con un problema strutturale di mancanza di trasparenza delle opportunità sia di lavoro che di formazione.
Analizzare il mercato del lavoro in Italia, come detto, è difficilissimo, vi sono fili spezzati e contesti quasi inconoscibili, sia rispetto ai settori, sia rispetto alle professionalità richieste e anche di fronte ad un’innegabile aumento del tasso di disoccupazione, in particolare giovanile, permangono centinaia di migliaia di posti di lavoro vacanti.
La trasparenza delle informazioni ed il supporto a chi cerca di ricollocarsi nel mercato del lavoro è un punto imprescindibile per una maggiore equità e mobilità sociale..
Dobbiamo quindi domandarci: come si legge un mercato del lavoro opaco, nel quale, tra l’altro manca quasi completamente la cultura dell’orientamento?
Con il rilancio della riflessione sullo “Statuto dei Lavori” questo tema può e deve essere ripreso approfonditamente, proprio nell’ottica di costruzione di nuove tutele che difendano il lavoro non solo nel “posto”, ma anche nel mercato del lavoro.
Concludendo, nell’epoca della flessibilità, troppo spesso a senso unico, costruire nuove tutele, certo supportando le transizioni lavorative, ma soprattutto potenziando i meccanismi pubblici e privati di incontro tra domanda e offerta di lavoro, può rivelarsi una delle politiche vincenti per l’uscita dalla crisi economica ed occupazionale.
Si tratta di una sfida fondamentale anche per il sindacato poiché promuovere una flessibilità positiva per i lavoratori significa favorire un loro rafforzamento nel mercato del lavoro ed un riequilibrio tra merito, opportunità, lotta alle disuguaglianze.
La società della conoscenza necessita di un cambiamento culturale che si deve poggiare su nuove infrastrutture sociali per l’occupabilità.
Come insegnano i tre studiosi premiati a questo cambio culturale occorre affiancare un equilibrato e multiforme mix di politiche compresi incentivi selezionati e ben calibrati sia ai datori di lavoro che ai disoccupati.
Il sindacato, in collaborazione con altre realtà ed istituzioni, può contribuire a questo percorso, rinnovando in nuove forme la propria missione storica: non lasciare sole e soli le lavoratrici ed i lavoratori.
di Giorgio Santini, segretario confederale Cisl