La buona notizia del 2024 potrebbe essere l’inversione della strategia della Bce che quest’anno ha portato ben dieci aumenti consecutivi dei tassi di interesse nel tentativo di frenare l’inflazione. Una politica pericolosa che ha causato un aggravio del costo dei mutui per le famiglie, ma soprattutto un’impennata del costo del danaro per le imprese. Le quali per reazione hanno smesso di investire, con il risultato di una riduzione netta della produzione. La metalmeccanica, il settore portante della nostra economia, da tre trimestri segna un calo produttivo, segnale preciso che annuncia recessione. Adesso la situazione potrebbe cambiare, in Europa il fronte degli austeri si sta sfaldando, le indicazioni per un’inversione di strategia si fanno aperte. Potremmo seguire in Europa l’esempio della Fed americana che ha già ridotto il costo del danaro.
E le relazioni industriali? Anche in questo campo l’anno che sta per arrivare porterà un cambiamento di rotta? La contrattazione in Italia in realtà non è perdente, tutt’altro, ma è caratterizzata da una forte polarizzazione, una tendenza a dividere i destini, una divaricazione che in realtà non fa bene a nessuno. L’industria è andata molto bene, tutti i contratti in scadenza sono stati rinnovati, anche con risultati importanti, nelle sedi nazionali e in quelle aziendali. Ma l’industria resta un fortino, all’esterno la realtà è stata molto più dura. Ne fa fede per tutti il contratto del commercio e turismo, che da tre anni non si riesce a rinnovare, tanto che l’ultimo atto sindacale di questo 2023 sarà proprio lo sciopero generale di protesta di questo settore.
Una sconfitta per tutti, perché è così, con ritardi di anni nel rinnovo dei contratti, che si creano sacche di povertà, che ci sono e si sono pericolosamente allargate. Il salario minimo legale non sarebbe riuscito a risolvere il problema della povertà, soprattutto quello del lavoro povero, ma avrebbe attenuato qualche tensione. Si sta discutendo in questi giorni se il lavoro sia o meno ancora importante, centrale per le persone, c’è chi assicura che sia ancora così, nonostante le apparenze contrarie, ma se si ha un lavoro e ugualmente non si arriva o si stenta ad arrivare alla fine del mese forse qualche problema c’è e pesa. E qui tocchiamo un punto dolente della nostra società, la capacità di guardare con fiducia al futuro, soprattutto di reagire alle difficoltà. Il Censis ci ha rimandato l’immagine, un po’ sfocata, di un Italia preda del sonnambulismo, inerte, incapace e forse indifferente al futuro, per nulla convinta della necessità di combattere e cercare risultati migliori. Una prospettiva da respingere con forza e la speranza è che il nuovo anno porti invece nuova voglia di impegnarsi e cogliere risultati e accenda così nuove speranze.
I soggetti indispensabili per questo salto di qualità sembrano esserci o potrebbero rispondere all’appello, almeno per quanto si riferisce alle relazioni industriali. Ci sarà sicuramente il sindacato. Nel corso del 2023 le divisioni sono sembrate aumentare invece che ridursi, ma soprattutto gli ultimi mesi hanno dimostrato che queste divisioni sono più formali che reali. Le strategie di fondo sono state elaborate assieme dalle tre grandi confederazioni operaie e portate avanti unitariamente nel confronto con il governo. È mancata l’unanimità sul giudizio da dare agli esiti di questo confronto e alle reazioni opportune per manifestare il dissenso, ma questo non ha intaccato la forza e la capacità di incisione del sindacalismo confederale. C’è stato chi, Cgil e Uil, ha preferito lo sciopero, più o meno generale, chi, la Cisl, ha scelto di manifestare senza astensioni dal lavoro. Ma la Cisl non ha rinunciato allo sciopero, tutt’altro.
E il nuovo anno potrebbe riportare sulla scena l’attore Confindustria, da troppo tempo assente. Le speranze, forti negli anni passati, di riprendere il ruolo di guida che la confederazione degli industriali ha sempre avuto, si sono infrante nell’inazione di Carlo Bonomi, che però vedrà tra qualche mese terminare il suo mandato quadriennale. Non saranno in molti a rimpiangerlo. È vero che ha dovuto affrontare un periodo molto difficile, funestato dal Covid, la guerra, l’inflazione, ma ha certamente fallito nella sua azione, non è riuscito a portare a casa i risultati che aveva promesso, primo tra gli altri il condurre Confindustria fuori dal cono d’ombra nel quale si era ritrovata. La corsa alla sua successione è partita, affollata per ora da altri attori, la speranza di una ripresa è forte.
E poi c’è la politica, anche se da questo versante è difficile aspettarsi qualcosa di positivo. La prima metà dell’anno sarà occupata dalla campagna elettorale europea, durissima, già in atto. E la seconda metà sarà necessariamente dedita al tentativo di trovare nuovi equilibri, in Europa e in Italia, tanto più dopo la brutta figura del Mes. Attendersi un protagonismo dalle forze politiche, di maggioranza come di opposizione, è augurabile, ma forse inane. Andrebbe già bene se le forze di minoranza, sempre troppo litigiose, riuscissero a coagulare i loro sforzi su alcuni obiettivi. Si creerebbe un equilibrio di forze, necessario per avere un buon governo. Potrebbe essere un inizio.
Massimo Mascini