Industry 4.0, la crescita della fabbrica intelligente, la diffusione della digitalizzazione della produzione, è dietro l’angolo. Forse è già tra noi. Certamente è un processo in atto che non sarà arrestato, ma al contrario influenzerà pesantemente il futuro della nostra industria e più in generale della nostra economia. Perché le trasformazioni in atto da questo processo, le infinite connessioni che questo comporta daranno a chi va fino in fondo per questa strada un vantaggio competitivo molto importante. Serve però grande coscienza del salto quantico che questa trasformazione comporta e una presa di responsabilità da parte di tutti gli attori, gli imprenditori, il sindacato, la pubblica amministrazione, la politica. Se non ci sarà questo salto, se si opporranno resistenze, le conseguenze saranno forti e tutte negative. Il paese perderà competitività, più o meno lentamente scivolerà all’indietro. Tutto dipende, appunto, dalle scelte che saranno fatte dai diversi attori. La posta in gioco non è solo il benessere che deriva dall’avere un’industria forte e competitiva, ma anche la possibilità di veder crescere la qualità del lavoro, perché aumenterà certamente la responsabilità dei lavoratori, sì, ma il loro ruolo ne fruirà in maniera molto rilevante.
Di tutto ciò si è parlato a lungo questa mattina in un convegno dedicato appunto ai temi di Industry 4.0 organizzato dallo Ial, l’istituto della formazione per la Cisl, presieduto da Graziano Treré, sulla base di un rapporto molto dettagliato su questo tema preparato da Annalisa Magone, amministratore delegato di Torino Nord Ovest, un centro di ricerche torinese. Una sintesi molto abbondante della ricerca, estremamente interessante, lo riportiamo in documentazione perché riteniamo che siano questi i temi sui quali è indispensabile confrontarsi nel prossimo futuro, anche sulle pagine del nostro giornale. Se cambia il lavoratore, il suo apporto alla produzione, il suo modo di essere in fabbrica, quindi tutta la sua realtà, è evidente che deve cambiare oltre alla formazione anche il sindacato e molto profondamente. E il destino delle diverse realtà sindacali dipenderà molto proprio dall’atteggiamento che esse sapranno prendere, perché è indubbio che se non riuscirà ad adeguarsi ai nuovi compiti il sindacato, o una parte di questo sparirà o sarà comunque relegato in una posizione marginale.
Al dibattito di questa mattina ha partecipato anche il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, il quale ha lodato il processo in atto, una vera rivoluzione copernicana della produzione, ma anche, a suo avviso, della società. Se si parla di industria 4.0, ha rilevato, è il caso che si parli anche di società 4.0 perché è evidente che la trasformazione sarà generale, così come del resto è stato quando è nato il taylorismo, che è arrivato fino a modificare la realtà delle città industriali. Un obbligo in particolare per l’Italia che sarà investita pesantemente da questa trasformazione considerando che l’impatto sarà essenzialmente sulla manifattura e noi siamo sempre il secondo paese manifatturiero dopo la Germania. Baretta ha anche sottolineato la vastità del cambiamento che si prospetta per il sindacato, perché servirà una nuova cultura del lavoro e la capacità di metterla a fuoco segnerà la crescita della rappresentanza di ciascuna formazione.
Massimo Mascini