Aris Accornero
Marco Biagi era un amico, un collega e un collaboratore. Avevamo lavorato insieme per i ministri Tiziano Treu, Antonio Bassolino e Cesare Salvi, poi mi aveva aiutato nella “task force” per gli scioperi nel Giubileo, e adesso stavamo coordinando una ricerca sulle prassi sindacali in Europa, come consiglieri di presidenza del Cnel. L’altro giorno c’eravamo appunto riuniti a Villa Lubin, dove l’avevo visto solo e senza scorta.
La sua efferata uccisione conferma quella peculiarità del terrorismo italiano che, lungo gli ultimi trent’anni, si è connotata con un motto: “Dagli al riformista!”, ribadito da interminabili “Risoluzioni strategiche”. Questa è stata la matrice politica prevalente, così lontana da tante esperienze – dalla Russia dell’800 alla Colombia d’oggi – dove veniva preso di mira il “cattivo”, che poi era il possidente odioso o il politico avverso.
Biagi aveva coordinato il gruppo che aveva steso il Libro Bianco del Governo Berlusconi, e si accingeva ad abbozzare uno “Statuto dei lavori” diverso rispetto a quello preparato anni addietro con Treu e che non aveva avuto alcun seguito pratico. Le sue posizioni erano fortemente critiche verso le lacune del mercato del lavoro italiano, nonostante i recenti successi occupazionali: basti citare i servizi pubblici per l’impiego e il sistema informativo del lavoro.
L’assillo del Libro Bianco era l’innalzamento del tasso di attività, ma poi si disegnava una profonda revisione del sistema di relazioni industriali, anche se non ci si spingeva a mettere in causa l’art. 18. Biagi esprimeva insofferenza per le riluttanze e le renitenze spesso incontrate in passato di fronte a novità come il part-time o l’interinale. Aveva ragione, ma forse non si rendeva ben conto che le novità prospettate erano una riforma sì, ma destinata a destabilizzare tutto il quadro di relazioni – quello culminato appunto nella concertazione – e al tempo stesso incapace di fornire un quadro di tutele all’altezza dei cambiamenti prospettati sia nei rapporti di lavoro che in quelli sindacali.
Il suo ultimo articolo, su “Il Sole-24 Ore”, ci richiamava al raggiungimento di mete qualitative europee. Così lo vogliamo ricordare. Non dimenticando, per franchezza, che talvolta quelle mete vengono ridotte a grandezze medie formate da dati nazionali rispetto a esse oscillanti, all’insù e all’ingiù. Noi dobbiamo cercare di avvicinarci alla media nella sostanza e senza fanatismi quantitativi, sapendo che nessun Paese esattamente sta sulla media.