Compie un anno tra poco l’accordo che il 22 gennaio del 2009 ha messo a punto nuove regole per la contrattazione. Un anno lungo e difficile, costellato di difficoltà, che per lo più avevano origine nel dissenso della Cgil nei confronti di quell’accordo, che infatti non ha firmato. Rinnovare i contratti è stata dall’inizio un’operazione molto difficile, perché ciascuna parte era ferma sulle proprie posizioni e non si riusciva a trovare il sistema per superare queste diversità e approdare a un’intesa unitaria. La scorciatoia era quella alla quale sono stati costretti i metalmeccanici, un accordo separato che non ha avuto il consenso della Fiom. Dico costretti perché la posizione della Fiom non dava alcun appiglio per un approdo comune. Non solo le diverse parti sindacali erano in disaccordo sulla richiesta salariale, ma addirittura la federazione della Cgil ha chiesto la conclusione del quadriennio contrattuale, quindi con un rinnovo del solo biennio economico.
In pratica, non era possibile una conclusione diversa. Le altre categorie invece si sono poste su un piano del tutto differente, prive di ideologie, ponendosi solo l’obiettivo di procedere o almeno arrivare a un punto unitario. E così è stato miracolosamente per tutti gli altri contratti rinnovati l’anno passato. In qualche caso ci sono state anche piattaforme separate, ma sempre l’intesa finale ha trovato la condivisione di tutte le parti sindacali. I giudizi naturalmente sono stati diversi. Perché ciascuna parte ha teso ad affermare che le proprie tesi erano risultate vincenti. Le federazioni della Cgil hanno sempre affermato che l’aumento salariale era stato ben più maggiore di quanto non concedesse il calcolo dell’Ipca, quelle di Cisl e Uil al contrario hanno sempre detto che il sistema del 22 gennaio era stato applicato con fortuna e che se l’aumento era risultato superiore questo era dovuto solo ad altre voci che si erano sommate nel calcolo finale.
Ciascuno ha tirato la coperta dalla propria parte, come è naturale che facciano. Importante era arrivare ad accordi unitari che in qualche modo ricucissero le divisioni del 22 gennaio, e così è stato. Anche nelle trattative in corso in queste prime settimane del 2010, per gli elettrici, il settore del petrolio, quello di gasacqua, e così sarà presto per i tessili e le altre categorie che arriveranno al momento del rinnovo contrattuale, lo sforzo è sempre lo stesso, superare senza clamori le distanze tra le diverse posizioni per arrivare ad accordi condivisi. Senza cioè arrogarsi il diritto di affermare che l’altra parte aveva sbagliato. Una posizione intelligente, perché l’alternativa sarebbe stata la rottura, realizzando così l’affondamento delle relazioni industriali, soprattutto perché ormai il momento più complesso e difficile non è più tanto il rinnovo dei contratti, ma la loro gestione, lasciata ai sindacati che firmano i nuovi contratti. Chi non firma resta fuori da tutti gli organismi di controllo e gestione che in epoca di bilateralità diventano sempre più rilevanti e regolano momenti della vita sindacale essenziali. Se tutti i contratti rinnovati l’anno scorso non avessero visto la firma della Cgil si sarebbe creato un vuoto molto pericoloso nella realtà delle relazioni industriali, a tutto danno della tenuta dei diritti dei lavoratori.
Pragmatismo, attenzione alla realtà della condizione di lavoro, fermezza nella condizione dei negoziati. Questa è stata la ricetta vincente, questa deve essere la linea da condurre anche nei prossimi mesi. Tra tre anni, quando questo ciclo contrattuale terminerà, ci sarà modo di formalizzare un accordo diverso, accettato da tutti. E non sarà un atto doloroso e difficile, sarà la logica conclusione dei comportamenti virtuosi di questi mesi.
Massimo Mascini