È stato siglato il 13 settembre a Roma un accordo tra Unilever, multinazionale anglo-olandese presente in Italia nel settore alimentare con 1500 lavoratori, e le organizzazioni sindacali di categoria, interamente dedicato alle trasformazioni legate all’Industria 4.0.
L’intesa si chiama, non a caso, “Agenda per lo Sviluppo del Capitale Umano nell’Industria 4.0”, e sostanzialmente cerca di anticipare l’imminente transizione tecnologica e organizzativa che Unilever dovrà gestire nei prossimi anni anche nel nostro Paese. Si tratta del primo accordo in assoluto nel panorama delle relazioni sindacali italiane esclusivamente dedicato all’attuazione del “lavoro 4.0”, con il quale le parti sociali cercano di adottare azioni preventive per creare sicurezza sociale e tutelare il patrimonio professionale delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per una volta, dunque, si realizza in Italia un accordo concreto sul tema che mette al centro delle relazioni industriali obiettivi fondamentali, come coniugare flessibilità organizzativa e sicurezza sociale, programmare l’apprendimento per tutti i lavoratori e le fasce professionali, modulare i progetti in base all’età delle persone coinvolte, costruire alleanze sul territorio con aziende e istituzioni per realizzare gli obiettivi. Il progetto prevede comitati bilaterali, costituiti tra azienda e rappresentanti sindacali, che in ogni sito produttivo dovranno attuare e implementare le migliori misure di sostegno al cambiamento del lavoro.
La sfida abbracciata con questo accordo è dunque duplice per noi. Da un lato, anticipare gli effetti della quarta rivoluzione industriale, che come è noto si caratterizza per il rapido avvento della digitalizzazione: automazione, internet delle cose, intelligenza artificiale, machine learning, sono tutti fattori che modificheranno radicalmente il modo di produrre e di organizzare il lavoro e l’impresa, e che renderanno necessarie competenze nuove, faranno nascere profili professionali al momento sconosciuti e inimmaginabili. Dall’altro, diamo un nuovo impulso all’azione del sindacato, che anziché essere chiamato a gestire crisi, vertenze, esuberi, licenziamenti, si fa parte attiva per anticipare e governare i cambiamenti.
La politica, da parte sua, e il nuovo governo in particolare, dovrebbero avere il coraggio di valorizzare accordi di questo tipo, di promuoverli con concrete misure che sostengano l’innovazione tecnologica, la formazione continua, la riqualificazione delle competenze. Temi molto trascurati nel nostro Paese, dove spesso a prevalere è l’idea che i posti di lavoro si creino o distruggano solamente con incentivi, misure economiche, politiche industriali. Cose fondamentali, ma che non hanno futuro se trascendono dal valore della persona, dal ruolo del lavoratore, dal suo bagaglio di saperi e conoscenze.
La Fai Cisl si impegna ad attuare questa strada e promuoverla anche in altre realtà produttive, nonché dentro la trattativa per il nuovo ccnl dell’industria alimentare, appena iniziata. Già dai prossimi incontri con le parti datoriali avremo modo di discutere nel merito della nostra piattaforma, che su formazione, innovazione e partecipazione contiene proposte di grande valore con l’obiettivo di sostenere impresa e lavoro, crescita e competitività, capitale umano e dignità della persona.
Dobbiamo fare in modo che nessuno resti indietro. Non sarà facile, lo sappiamo. Soprattutto per i lavoratori meno giovani e meno formati. Ma se guardiamo al progetto siglato in Unilever vediamo che si caratterizza per essere profondamente partecipativo. E questo è un valore aggiunto, un aspetto che rende la sfida anche profondamente culturale. E che mette alla prova tutti noi, compreso i delegati, che avranno il compito di percorrere la strada indicata dall’accordo.
È un modo di concepire la partecipazione, questo, che non si esaurisce nel chiedere semplicemente spazi negli uffici o nei consigli di amministrazione, ma che parte dal basso, e ci spinge a ridisegnare le relazioni industriali e sindacali. Perché nessun cambiamento, se non partecipato, è destinato a dare risultati positivi e duraturi. E nessuna rivoluzione tecnologica, se non guidata da un nuovo umanesimo, potrà mai dare al Paese crescita, sviluppo, giustizia sociale.
di Onofrio Rota, Segretario generale Fai Cisl