Il diario del lavoro ha intervistato la segretaria nazionale della Uiltec Daniela Piras in merito alla situazione del settore Moda in questo periodo post-Covid. Per la sindcalista, il comparto ha risentito fortemente della crisi e nonostante alcuni provvedimenti del governo abbiano aiutato, serve una posizione forte da parte della politica a difesa del made in Italy, settore fondamentale del paese.
In questo periodo post-crisi si può iniziare a tirare le somme su quale sia la situazione ad oggi di molte realtà produttive, come ad esempio quella del settore Moda. Qual è la situazione?
L’intero comparto Moda, che comprende i settori calzature, pelli e cuoio, abbigliamento e tessile, conce e occhialeria, non è in una situazione facile, dato che ha subito una diminuzione del fatturato di circa il 90%. L’alta Moda è ferma di tre stagioni. Inoltre, il settore calzature ha subito maggiormente la crisi, data la scomparsa degli ordinativi e l’assenza della produzione di scarpe perché le fabbriche erano chiuse, insomma è stata una fermata totale di un pezzo del made in Italy fortemente rappresentativo del nostro paese.
Il comparto abbigliamento e tessile naviga in acque migliori?
Anche qui è presente una gravissima situazione. Insieme a tutto il settore della Moda, ha subito la crisi Covid-19 già da gennaio.
Il lockdown è iniziato verso gli inizi di marzo, quindi come mai così presto?
Perché a gennaio in Cina ci sono state le prime fermate di produzione, di lockdown, i vari blocchi di scambio di merci e persone, e qui in Italia sono arrivate le prime conseguenze. Gran parte del settore abbigliamento e tessile, così come l’alta Moda, si sviluppa in Cina e in America, ma principalmente in Cina. Verso metà gennaio il sindacato ha avuto degli incontri con varie aziende di alta Moda italiane che ci prospettavano la possibilità di una diminuzione del fatturato del 30% e addirittura si pensava già alla cassa integrazione, in un periodo dove non era ancora immaginabile prevedere le ripercussioni che avrebbe avuto il Coronavirus in Italia. Quindi nel momento in cui si stava bloccando tutto in Cina, è stata impedita la possibilità di viaggiare e quindi di organizzare le varie fiere e di scambiare le merci. Infine, il settore ha tentato di cambiare mercato verso l’America ma ormai era troppo tardi, il virus aveva colpito il resto del mondo, America compresa, bloccando tutto e tutti.
L’alta Moda, come sottolineava, è ferma di tre stagioni, ma dopo questo periodo di post-Covid il settore è in ripresa?
Assolutamente no. Adesso il settore ha una forte necessità di rincorrere le produzioni che sono saltate, ma comunque stiamo parlando di tre stagioni, quindi si deve correre per produrre autunno-inverno e poi presentare le varie sfilate, che probabilmente non verranno fatte. In questo senso, le modalità alternative che si utilizzeranno saranno le sfilate on-line attraverso varie piattaforme, ma bisognerà vedere che tipo di risposta ci sarà.
Comunque in parte ha resistito alla crisi?
Le perdite in parte sono sta ammortizzate dalle grandi aziende in un modo, ma dalle piccole in un altro. Il fatto è che il settore Moda è formato, oltre che dalle aziende committenti, anche da una immensa filiera e noi riteniamo che saranno queste realtà a subire maggiormente la crisi, perché queste piccole aziende hanno una ridotta capacità finanziaria e quindi sono deboli per reggere perdite così consistenti.
Il rinnovo del contrato nazionale potrebbe essere uno strumento per arginare questo problema?
Indubbiamente, infatti nelle discussioni per il rinnovo del contratto stiamo cercando di dare un grande peso alle problematiche di tutta la filiera del settore, per fare in modo che possa essere messa in condizione di riprendersi.
Le relazioni industriali stanno funzionando?
Purtroppo questa pandemia ha causato delle ricadute anche nelle relazioni industriali, nel senso che la controparte ha posticipato le discussioni sul rinnovo del contratto, data l’incertezza sul futuro del settore che non li mette nelle condizioni di fare delle ipotesi sugli sviluppi futuri. Come sindacato riteniamo che questo approccio sia fortemente sbagliato, perché consideriamo il rinnovo del contratto nazionale e gli aumenti salariali delle possibilità in più per ridistribuire un pezzo del capitale circolante che permetterebbe di rimettere in modo la macchina dei consumi. Ci spaventa la posizione che Confindustria sta avendo nei tavoli nazionali, ma continuiamo a portare alla loro attenzione la firma del contratto nazionale del vetro, che ha rotto quel muro che stava ergendo il nuovo presidente Carlo Bonomi, perché dimostra che le relazioni industriali, se si vogliono fare, si possono fare, e bene.
Quindi la situazione con la controparte è ancora in stallo?
Nei giorni scorsi c’è stata la sostituzione del presidente Confindustria Moda, e abbiamo chiesto di riprendere le trattative, ipotizzando un percorso comune nei confronti della politica, percorso che avevamo in parte già intrapreso con il precedente presidente.
In che senso?
Stiamo chiedendo con forza la condivisione di un documento che contenga tutte le criticità e le esigenze delle diverse realtà del settore, da portare successivamente all’attenzione del Governo. Vorremmo che la politica intervenisse soprattutto a difesa del made in Italy che ci qualifica e che può essere un volano per il rilancio dell’economia del paese. Ieri abbiamo inviato la richiesta di incontro a Confindustria Moda per continuare questo percorso condiviso, nel senso che il documento era già in discussione nei mesi scorsi, quindi in teoria la disponibilità della controparte su questo punto era già presente; adesso chiediamo di completare l’opera perché riteniamo sia fondamentale per la ripresa.
Il governo in questo periodo di crisi ha dato una mano per sorreggere il settore?
Si, anche se non è stato fatto abbastanza, alcuni interventi sono stati fatti e sono stati positivi per la tenuta del settore. Inoltre pensiamo che ci saranno delle ripercussioni positive per quanto riguarda il Recovery Found. Quindi il giudizio è in generale positivo, ma si sente la mancanza di una presa di posizione forte da parte della politica a difesa del made in Italy.
Emanuele Ghiani