“We’re Ready”, siamo pronti. E’ questa la scritta che campeggia sullo striscione che apre un corteo di aderenti alla United Auto Workers, il potente sindacato americano dei lavoratori dell’auto. Laddove con “siamo pronti” si intende pronti a scioperare.
Infatti, domenica 15 settembre, a Detroit, la UAW ha tenuto una conferenza stampa per annunciare l’avvio di un’iniziativa di lotta negli stabilimenti della General Motors. Nell’occasione, secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, Terry Dittes, il Vice Presidente del sindacato incaricato delle relazioni con GM, ha detto: “Non abbiamo preso questa decisione alla leggera”. E c’è da credergli. Basti pensare che quello appena annunciato e’ il primo sciopero nazionale della UAW alla General Motors da 12 anni a questa parte. Per trovare l’ultimo precedente, infatti, bisogna risalire al 2007, quando, durante un ciclo di trattative, vi fu uno sciopero di due giorni.
A monte della decisione della UAW di lanciare questa iniziativa di lotta c’è il fatto che le trattative in corso per rinnovare il precedente contratto aziendale, di durata quadriennale, erano giunte a un punto morto.
D’altra parte, va anche detto che la piattaforma sindacale era ed è particolarmente impegnativa.
In primo luogo, infatti, la UAW si propone di dissuadere la General Motors dal suo disegno di chiudere alcuni stabilimenti dedicati al montaggio finale di autovetture e collocati in Ohio e nel Michigan.
In secondo luogo, c’è la richiesta di ottenere aumenti salariali dopo alcuni anni in cui, secondo il sindacato, l’azienda ha ottenuto profitti record.
Vi sono poi altre richieste relative a quello che noi chiameremmo welfare aziendale in materia di prestazioni sanitarie, nonché a sicurezza sul lavoro, dipendenti a tempo determinato e partecipazioni agli utili.
Sempre secondo la Reuters, che ha dedicato alla notizia un ampio servizio firmato da Nick Carey e da Ben Klayman, la General Motors ha replicato, in una sua dichiarazione, di aver offerto al sindacato l’impegno ad effettuare investimenti, pari a 7 miliardi di dollari, relativi a 5.400 posti di lavoro, in maggioranza del tutto nuovi.
Ancora per ciò che riguarda i problemi occupazionali posti dal sindacato, GM ha sostenuto che le progettate chiusure sono risposte necessarie alle repentine variazioni che caratterizzano questa fase difficile del mercato dell’auto.
Passando poi agli altri punti della piattaforma sindacale, l’azienda ha affermato di aver avanzato adeguate offerte in materia di aumenti salariali e di benefit aziendali, osservando però anche che le richieste sindacali sono “onerose” (“expensive”) se comparate con i costi che vengono sostenuti in altri stabilimenti non sindacalizzati, diffusi in alcuni Stati del Sud degli stessi Stati Uniti.
Terry Dittes, nel corso della citata conferenza stampa, ha peraltro confermato che su tutti questi punti permangono “significative differenze” tra le parti.
Va però anche detto che se un sindacato solitamente prudente come la UAW si risolve a proclamare uno sciopero alla General Motors, ovvero negli stabilimenti di quello che è il più grande costruttore di auto degli Stati Uniti, deve essersi convinto che in quegli stessi stabilimenti lavoratori e lavoratrici vivano una situazione di disagio.
Ted Krumm, capo del comitato sindacale per le trattative con la GM, ha detto che l’azienda “deve capire che noi siamo stati dalla sua parte quando aveva bisogno di noi”. Un’allusione neanche tanto velata, questa, alla fase di crisi vissuta nel 2009, quando GM si salvo’ dal fallimento solo grazie alla politica di sostegno al settore auto voluta dal Presidente Obama. E quando il sindacato fece all’azienda significative concessioni.
“Noi – ha detto ancora Krumm – abbiamo dato una mano a fare di questa azienda ciò che è oggi. E adesso ci aspettiamo un buon contratto.”
Da notare, che gli stabilimenti che GM intende chiudere sono collocati, come detto, in Ohio e nel Michigan, ovvero in due Stati di quella Rust Belt (la cintura della ruggine), cioe’ l’area di antica industrializzazione manifatturiera, collocata nel Nord-Est degli Stati Uniti, che tradizionalmente votava per i Democratici e che nel 2016 ha dato un contributo decisivo all’elezione di Trump.
Insomma, questo sciopero, oltre a non essere una buona notizia per Mary Barra, la mitica Ceo di General Motors, forse può anche costituire una notizia allarmante per il Presidente Trump.
@Fernando_Liuzzi