Tutto il calcio minuto per minuto. Una trasmissione radiofonica, un genetliaco, cinquantotto anni di storia. Il 10 gennaio 1960 andava in onda la prima trasmissione ufficiale che collegava gli stadi di serie A. Le voci di Nicolò Carosio, Enrico Ameri, Sandro Ciotti vibravano nell’etere per essere ascoltate da milioni di tifosi. Domenica, ore 15, il fischio dell’arbitro univa l’Italia. Un Paese pieno di sogni e di speranze. Il miracolo economico, l’Oscar alla lira, le Olimpiadi a Roma.
Eoni fa. Ora non partecipiamo ai mondiali, il calcio nostrano è in crisi, le partite sono spezzettate in giorni diversi, i diritti televisivi e le proprietà straniere dettano legge. Quel che prima era un collante, pur nella diversità del tifo, stessa ora, stessa radio, da tempo, troppo tempo, accresce gli elementi divisivi, irrora il rancore, alimenta la violenza. Il calcio come immagine del nostro Paese. L’Italia nel pallone.
A forza di guardare solo in campo, di esasperare gli animi con infinite discussioni davanti alla moviola su rigori negati o concessi, non si è fatta la necessaria attenzione a quel che avveniva sugli spalti. Una mutazione antropologica che, se studiata con serietà, avrebbe fatto capire in modo lungimirante il risentimento che stava macerando nella pancia della società. Grande errore lasciare il racconto del calcio solo ai cronisti sportivi.
Il 1960 fu anche l’anno del governo Tambroni e della mobilitazione popolare contro l’appoggio del Msi. Poi a palazzo Chigi arrivò Fanfani, l’esecutivo di convergenze democratiche, come lo definì Moro, che portò alla nascita del centro-sinistra. Ora le curve degli stadi sono dominate da estremisti di destra e il neofascismo è una realtà politica e culturale acquisita e accettata.
In questi giorni è morto Antonio Valentin Angelillo, calciatore di Inter, Roma e Milan, con Maschio e Sivori uno dei tre angeli dalla faccia sporca. Era nato a Buenos Aires e aveva giocato nella nazionale argentina ma proprio nel 1960 lo facemmo esordire con la maglia azzurra grazie alle origini lucane del nonno. Era la stagione degli oriundi. Dopo interessate, risibili e ben pagate ricerche nelle anagrafi comunali, ottenevano la cittadinanza italiana. Quella che neghiamo a chi nasce sul nostro suolo.