Era un Vincenzo Boccia molto disponibile e rilassato quello che martedì scorso, 4 luglio, ha incontrato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per riprendere il filo del discorso sulle nuove relazioni industriali. Nella foresteria Confindustria di Via Veneto, il presidente degli industriali ha accolto Susanna Camusso, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo annunciando: ‘’abbiamo risolto tutti i nostri problemi interni, Sole 24 Ore compreso, ora possiamo dedicarci a questa importante trattativa’’. Sullo sfondo, un buffet a base di mozzarelle campane, dolcetti e gelati: prova dell’intenzione di affrontare un lungo negoziato, e se non fare nottata, quanto meno passare di molto l’ora di cena. La delegazione confindustriale, del resto, si era presentata all’incontro con un corposo documento, sul quale probabilmente contava di ottenere in serata il via libera della controparte, tanto che il testo era già scritto a nome di tutte e quattro le parti in campo.
Senonchè, i sindacati hanno fatto subito notare che troppe cose non andavano, in quel documento: e quindi no, grazie, meglio lavorarci sopra con calma, in separata sede. Il testo confindustriale e’ stato così accantonato, in attesa delle “correzioni’’ di Cgil, Cisl e Uil. Correzioni che verranno messe nero su bianco la prossima settimana dalle tre confederazioni, poi verificate nel corso di alcuni incontri tecnici con la delegazione di Confindustria e infine riportate al prossimo appuntamento ‘’politico’’ già convocato per il 26 luglio.
Le obiezioni sindacali riguardano molti dei capitoli affrontati nel testo degli industriali. In primo luogo, una gran parte del documento è dedicata al doppio tema rappresentanza – perimetro contrattuale. In sostanza, Confindustria vuole stabilire parametri rigidi per definire le imprese autorizzate a stipulare accordi. L’intento, di per sé positivo, sarebbe quello di stroncare la concorrenza al ribasso. Il problema è che, da un lato, non è ancora chiaro in quale modo la Confindustria intenda‘’pesare’’ se stessa e i propri associati, e dall’altro, che Boccia vorrebbe estendere questi paletti anche a sistemi esterni al mondo confindustriale, a partire da quelli dell’artigianato e del commercio. I sindacati, però, hanno obiettato che una cosa del genere e’ possibile solo coinvolgendo i diretti interessati, in un tavolo, quindi, necessariamente allargato anche alle altre organizzazioni di impresa.
La principale divergenza resta però quella sul modello contrattuale. Confindustria continua a prendere come riferimento quello di Federmeccanica, posizione che trova del tutto in disaccordo Cgil, Cisl e Uil. Reduci da una stagione di rinnovi variegatissimi, i sindacati non hanno alcuna intenzione di schiacciarsi sul modello metalmeccanico, ritenuto di modesto appeal rispetto, per esempio, al contratto dei chimici, dei tessili, del settore alimentare. Ma anche su questo terreno Confindustria non si sarebbe irrigidita, anzi: ‘’cerchiamo innanzi tutto i punti di convergenza, poi vediamo come procedere’’, è il mantra ripetuto dalla delegazione di Viale dell’Astronomia durante tutta la riunione.
Una parte importante del documento presentato martedì ai sindacati riguarda poi il welfare contrattuale. La Confindustria, in sostanza, propone la creazione di un fondo sanitario integrativo unico che coinvolga tutti i lavoratori dell’industria, nel quale convogliare la gran massa economica costituita dalle risorse –detassate- destinate al welfare contrattuale. Risorse che oggi si sparpagliano nei mille rivoli di una sorta di suk nel quale società nate appositamente offrono cosiddetti ‘’pacchetti welfare” di dubbia consistenza, a base di palestre, corsi di danza, piscine, supermercati, eccetera. Meglio, quindi, un grosso fondo unico, con lo scopo di integrare quello che (purtroppo) non offre più la sanità pubblica, e gestito direttamente dalle parti sociali. Su questo terreno e’ possibile che si trovi rapidamente un’intesa, ma su tutto il resto e’ difficile dire cosa Confindustria e sindacati riusciranno a portare a casa, e quando. Oltre alle divergenze sul modello contrattuale, restano distanze anche sulla formazione, o sulla contrattazione territoriale. L’obiettivo sarebbe quello di arrivare a un testo sottoscritto da tutti entro l’estate, anche se lo stesso Boccia sembra propendere per un piu’ realistico accordo in autunno.
Infine, ci sarebbe da osservare che, mentre si discute di come misurare la rappresentanza delle imprese, ancora non si hanno notizie di quella delle tre confederazioni. Ad anni ormai di distanza dall’accordo interconfederale del maggio 2013 e del Testo Unico sulla Rappresentanza del gennaio 2014, nessun dato e’ stato ancora fornito riguardo a Cgil, Cisl e Uil. Le ragioni di questi ritardi vengono via via indicate con un continuo rimpallo di responsabilità: una volta e’ colpa delle direzioni provinciali del Lavoro, un’altra volta dell’abrogazione del Cnel, poi del Cnel risorto, poi dell’Inps, poi delle imprese stesse che non forniscono i dati, eccetera. Ci sarebbe da augurarsi che, prima di infilarsi nella complessa opera di “pesare’’ le aziende, i sindacati fornissero dati certi sul proprio peso. Altrimenti si rischiano equivoci. Nei giorni scorsi, per esempio, illustrando a Montecitorio la relazione sull’attività annuale, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha dichiarato che l’Istituto da lui diretto dispone già dei dati sulla presenza sindacale nelle grandi imprese, e che questi rappresentano un numero di iscritti decisamente inferiore a quello che si immagina. Anche solo per smentirlo, insomma, sarebbe utile che Cgil, Cisl e Uil convocassero una conferenza stampa nella quale presentare, finalmente, le cifre esatte su chi rappresenta chi.
Nunzia Penelope