Le ferie costano, e non solo ai vacanzieri. A farne le spese sono anche i lavoratori e lavoratrici del comparto turistico, che spesso svolgono più mansioni a parità di retribuzione, sono sottosalariati, sotto inquadrati o a cottimo e le cui competenze vengono sminuite in ‘lavoretti’. Una forma “sporca” di turismo che Filcams-Cgil mette “SottoSopra” con una campagna informativa itinerante rivolta a tutti gli addetti del comparti per tutelare i loro diritti. Da nord a sud della penisola, il tour del sindacato farà tappa nei principali luoghi di villeggiatura da giugno a settembre per promuovere un lavoro di qualità, a partire dall’applicazione del contratto nazionale di lavoro (di recente sottoscrizione) e delle norme, per un salario dignitoso, condizioni di lavoro sostenibili e rispetto per lavoro e lavoratori e lavoratrici”. Ma le criticità sono tante e strutturali e la parola chiave per superarle è contrattazione. Ne parla in questa intervista a Il diario del lavoro la segretaria nazionale della Filcams-Cgil, Monja Caiolo.
Chi e quanti sono i lavoratori del turismo?
In totale i lavoratori della filiera del turismo sono oltre 1.000.000. La maggior parte sono giovani, tantissime le donne, di cui la maggior vive una condizione di precarietà perché sono stagionali, quindi hanno un contratto legato alla durata della stagione vacanziera ch varia anche da regione a regione. C’è un’incidenza fortissima del lavoro a chiamata, parliamo del 55% dei lavoratori. Inoltre c’è una condizione di irregolarità molto diffusa. Il 70% dei lavoratori, infatti, è in condizioni di irregolarità, che vuol dire o il cosiddetto lavoro grigio, per cui lavoratori e lavoratrici hanno un contratto di lavoro part-time ma che nei fatti, invece, lavorano da full-time, e poi c’è invece il lavoro nero, per cui in tantissimi non hanno un contratto, ma percepiscono un compenso molto ridimensionato rispetto a quelle che sono invece le retribuzioni previste dalla normativa.
Com’è lo stato delle retribuzioni nel settore?
Laddove abbiamo rinnovato i contratti siamo riusciti a restituire un po’ di potere d’acquisto alle lavoratrici e i lavoratori, dove invece ancora non sono stati rinnovati stiamo parlando di retribuzioni che sono ferme a dieci anni fa. Faccio un esempio del contratto che sottoscriviamo con Federturismo AICA: due giorni fa si sono interrotte le trattative, quel contratto era stato siglato nel 2014 e scaduto nel dicembre 2018. Quindi le retribuzioni che fino a oggi percepiscono i lavoratori sono state individuate dieci anni fa e sono assolutamente lontane da quello che è l’attuale costo della vita. Le retribuzioni e le condizioni di lavoro, quindi la richiesta di andare continuamente oltre l’orario previsto, l’impossibilità di assentarsi per i riposi, per la malattia, per le ferie: è una situazione insostenibile che crea uno stato di precarietà indipendentemente se il rapporto di lavoro è regolare o meno. Certo, se non lo è, peggiora ulteriormente le condizioni.
È da queste premesse che muove la vostra campagna “Mettiamo il turismo SottoSopra”?
Sì. Da tre anni siamo impegnati con questa campagna di comunicazione itinerante che viaggia a bordo di camper lungo tutte quelle che sono le località prettamente turistiche della nazione con una doppia finalità: una è quella di incontrare i lavoratori sul loro posto di lavoro e parlare con loro rispetto alle difficoltà e le criticità che vivono o semplicemente per informarli rispetto a quelli che sono i diritti e le tutele di cui possono beneficiare. L’altro scopo è quello di diffondere il nostro messaggio che è quello di capovolgere l’attuale sistema del turismo, a partire proprio dal modello organizzativo, per puntare su un nuovo modello che sia sostenibile non soltanto dal punto di vista ambientale, quello a cui solitamente si fa riferimento quando si parla di sostenibilità, ma anche una sostenibilità occupazionale e sociale, quindi un modello occupazionale che sia di qualità, con il riconoscimento delle professionalità e delle competenze che hanno questi lavoratori, con il rispetto per la loro dignità di esseri umani e di lavoratori, e con condizioni di lavoro che siano sostenibili. Si tratta di rinnovo e applicazione dei contratti nazionali, nonché il suo rispetto integrale. Ma parliamo anche di ridistribuzione della ricchezza che il turismo produce.
In che termini?
Il turismo è in fortissima espansione – i dati del 2023 hanno sicuramente superato di gran lunga quello che erano i dati registrati nel 2019, l’anno d’oro della del turismo. Si è prodotta una grande ricchezza, che però ha favorito la crescita di pochi imprenditori e non ha contribuito a una vera crescita del Paese. Per farlo è necessario che quella ricchezza venga redistribuita ai lavoratori, coloro che hanno garantito questi numeri con la loro attività lavorativa, attraverso il riconoscimento di una retribuzioni più adeguate. Ma la ricchezza deve essere redistribuita anche al territorio, alla comunità. Quindi sì, il turismo contribuisce a una buona parte del Pil, però in realtà è sempre una contribuzione che non riesce pienamente a concretizzarsi.
Quali sono gli strumenti della vostra campagna?
La nostra campagna SottoSopra è l’insieme di quelli che sono gli aspetti più vertenziali e politici legati al turismo. Quindi incontriamo i lavoratori, ma incontriamo anche le istituzioni di vari territori in cui fanno tappa i nostri camper, parlando con le istituzioni territoriali, regionali, con le parti datoriali, con le associazioni datoriali del territorio. Proviamo a diffondere questa nostra idea di nuovo turismo sostenibile sotto ogni punto di vista. Nel nostro tour tra le regioni si fanno dei volantinaggi, dei banchetti, si va sulle spiagge, nei ristoranti, negli alberghi, incontriamo i lavoratori e organizziamo anche delle iniziative come ad esempio delle tavole rotonde, quindi momenti di confronto politico. Quest’anno, poi, si aggiunge anche un’animazione teatrale a cura della Cooperativa Aparte: tre attori mettono in scena i vizi del turista tipo che lamenta dei disservizi attribuendoli alla poca voglia di lavorare degli operatori, ma tramite un viaggio nel “sottosopra” scoprono le criticità che vivono i lavoratori. Tornano nel mondo reale, decidono di diventare dei turisti responsabili e di avere un atteggiamento diverso nei confronti dei lavoratori che incrociano nelle loro vacanze. Si impara l’importanza del rispetto dei diritti, della dignità e ovviamente del sindacato.
Di cosa avrebbe bisogno il settore?
Di politiche settoriali, di una vera programmazione, di mettere in sinergia quelli che sono i patrimoni che ciascun territorio è capace di esprimere e che molto spesso non è un solo patrimonio per territorio. Se questi patrimoni venissero veramente messi in sinergia fra di loro, e quindi anche i territori tessi venissero messi nelle condizioni di esprimere scelte turistiche integrate fra loro, questo consentirebbe di superare la stagionalità e parlare di turismo tutto l’anno. Significa avere anche rapporti di lavoro stabili, più duraturi, e questo sicuramente aiuterebbe tantissimo a restituire a questo settore, dal punto di vista occupazionale, l’attrattività che sta perdendo.
Qual è il ruolo delle istituzioni rispetto a questa criticità?
Molto spesso gli imprenditori, ma anche lo stesso Governo, fanno fatica a comprendere che questo è un settore in cui la risorsa umana è fondamentale. È un settore fatto di servizi alle persone resi da altre persone. Le lavoratrici e i lavoratori non sono messi nelle condizioni di poter operare con serenità, di sentirsi parte della realtà per cui lavorano e che spinge a dare il meglio di sé e aumentare la propria produttività. Invece continuiamo ad assistere a lavoro irregolare, sfruttamento, condizioni di lavoro pesanti, perché nell’ottica del risparmio la prima cosa su si taglia è proprio il costo del lavoro e quindi molto spesso gli organici sono ridotti rispetto a quelle che sono le vere esigenze di un sito lavorativo. Ecco perché spesso il lavoratore non può neanche prendere il riposo settimanale. Alcuni imprenditori nemmeno lo contemplano perché hanno una “cultura altra” del lavoro per cui, piuttosto che investire, si guarda alla massimizzazione del profitto.
Quindi, in sostanza, è per questo che i lavoratori scappano?
Sì, perché chiaramente non reggono queste condizioni e vedono che la loro professionalità non viene riconosciuta, è ampiamente sottopagata, per cui o vanno all’estero, dove nello stesso settore trovano condizioni decisamente migliori, oppure si collocano in altri settori produttivi dove magari anche a parità di retribuzione o retribuzione leggermente differente riescono ad avere quantomeno una stabilità occupazionale e a programmare la loro vita.
Molti imprenditori lamentano che i giovani non abbiano più voglia di lavorare nel settore.
Nei confronti dei giovani c’è un’aggravante in più. Spesso, da parte imprenditoriale, si pensa che per i giovani sia un lavoretto e quindi non ha la dignità di un lavoro. Non è così, ovviamente: è un lavoro come tutti gli altri e anche faticoso, quindi a maggior ragione ne va riconosciuto l’impegno.
Quali strumenti per invertire il pregiudizio?
Ci vorrebbe un serio corso di formazione per i datori di lavoro. È sfacciato dire che i giovani non abbiano voglia di lavorare, è sicuramente falso il tentativo di scaricare sugli altri la responsabilità del proprio operato. Noi abbiamo rotto le trattative l’altro ieri con Confindustria perché dopo sei anni di contratto scaduto chiedevamo una trattativa che fosse “snella”, cioè provare a rinnovare celermente il contratto per recuperare tutti questi anni di assenza. Lo schema che abbiamo proposto era quello di non introdurre nessun elemento peggiorativo nella parte normativa, anzi di migliorarla introducendo elementi qualificanti che diano un valore aggiunto al contratto e, ovviamente, concentrando il resto dell’attenzione sugli aumenti salariali che sono il tema centrale, soprattutto dopo sei anni e con un rinnovo che viene dopo la pandemia. Purtroppo le parti datoriali non solo non hanno condiviso questa impostazione, ma ci hanno chiesto di introdurre nel confronto il peggioramento di alcuni istituti che sono fondamentali: il tempo determinato, la flessibilità dell’orario di lavoro, l’apprendistato, il part time e la reperibilità per i lavoratori del turismo. Se questa è l’impostazione, l’unico modo per arginare questo attacco nei confronti dei giovani è quello di intervenire proprio sugli imprenditori, per questo ho fatto riferimento a un corso di formazione: perché ci vuole un cambio culturale. Se il turismo è l’industria più grande che ha questo Paese va trattata proprio in quanto tale, con un piano industriale con degli obiettivi, con una produzione ben precisa. Ma se è una grande industria bisogna anche riconoscere l’operato il valore dei lavoratori che quella grande industria la portano avanti.
Quindi da parte delle istituzioni c’è una sostanziale inerzia?
Assolutamente sì. Per i datori di lavoro sono stati previsti tanti aiuti anche di natura economica, ma per i lavoratori non c’è mai stato nulla di concreto. Faccio un esempio: la detassazione delle mance. Non è quello che aiuta i lavoratori: il reddito dei lavoratori non può e non deve venire dalle mance, ma dal contratto nazionale, dalle retribuzioni fissate dal contratto nazionale, dai premi di produttività che vengono individuati dalla contrattazione integrativa. La detassazione delle mance è un argomento pericolosissimo e, tra l’altro, in Italia non sono neanche diffuse se non nel segmento del lusso. Soprattutto non è stato neanche previsto un meccanismo reale di trasparenza delle mance.
In tema delle retribuzioni, la potenziale introduzione del salario minimo orario farebbe davvero la differenza nel turismo?
Se associata ad altre misure sì, ma da sola no, nel turismo così come in ogni realtà lavorativa. Sicuramente bisogna capire cosa si intende per salario minimo, se è una quota onnicomprensiva contenente anche i cosiddetti istituti differiti come la quota di 13.ª e di 14.ª, o se fa riferimento soltanto alla paga oraria. In questo ultimo caso sarebbe assolutamente insufficiente; se invece si includono anche gli istituti differiti si allontanano di poco da quello che era stato proposto come il salario minimo solo i livelli più bassi del turismo, quindi stiamo parlando di una differenza minima che assolutamente non cambierebbe la vita. Cambierebbe, invece, avere un salario minimo sotto il quale la contrattazione collettiva non può andare, quindi si contratta da lì a salire, ma servono tutte le altre misure, cioè quelle che fanno riferimento alle condizioni del lavoro. Servono anche delle diverse regole di mercato. Il part time non può più continuare a essere la formula su cui si basa la maggior parte dell’organizzazione del lavoro, perché anche quello incide molto sul reddito, perché la retribuzione può essere fissata dal contratto e può essere un’ottima retribuzione, ma se il lavoro che viene offerto è solo da part-time quella retribuzione si riduce per effetto delle ore ridotte e quindi diventa una lotta per la sopravvivenza e non una vita dignitosa a cui si ha diritto quando si lavora.
Qual è la retribuzione media nel comparto?
La maggior parte dei lavoratori sono inquadrati tra il 5.º e il 6.º livello nel turismo, quindi si parla in media di 1.200 euro netti.
Che impatto potrebbe avere una limitazione dei flussi turistici sui lavoratori? Qual è il vostro giudizio a riguardo?
Torno sempre alle politiche del settore: serve la programmazione. L’overtourism si verifica perché non c’è di base una buona organizzazione delle offerte turistiche. Il Covid ci ha insegnato una cosa: il turista è cambiato, non cerca più quelle forme di turismo di massa – quindi i grandi alberghi che diventano quasi una cittadina – ma cercano in realtà più piccole, luoghi fuori dalle mete tradizionalmente intese, strutture che abbiano spazi soprattutto all’aperto. Allora bisogna cominciare a guardare a diversi tipi di offerte. Non si può pubblicizzare sempre il luogo famoso, bisogna creare quei servizi perché il turista possa anche andare nel comune vicino, nei borghi e piccoli centri, ed essere messo nelle condizioni da lì di raggiungere la grande città per poterla visitare. Questo sicuramente aiuterebbe a evitare il sovraffollamento, anche provare a costruire delle offerte dislocate lungo tutto l’anno. La maggior parte dei nostri territori ha un clima abbastanza favorevole e, se si crea l’offerta, la domanda arriva, anche perché siamo solo noi italiani a essere ancora legati alle ferie d’agosto quando nel resto del mondo le vacanze si fanno tutto l’anno. Quindi ci vuole una diversa programmazione, una sinergia tra i diversi ministeri che sono in qualche modo coinvolti nel turismo – i trasporti, le attività produttive, il lavoro, il turismo, la cultura -, bisogna creare delle politiche in sinergia e cominciare a creare quell’offerta che in realtà il turista già sta chiedendo da qualche anno e questo sicuramente serve a intervenire sul overtourism.
Quanto agli affitti brevi?
Gli affitti brevi nascono quando le strutture ricettive impongono dei prezzi troppo elevati per i servizi che rendono, servizi che nel tempo hanno subito una diminuzione della loro qualità quando si è cominciato a intervenire sul costo del lavoro. Per esempio: quando lo stagista ha smesso di essere stagista non per volontà ma perché il datore di lavoro ne ha approfittato e lo ha fatto lavorare anziché apprendere trasformandolo in un lavoratore subordinato pur nei fatti non essendolo – quindi senza contratto, retribuzione, diritti – questo ha portato a un abbassamento della qualità e quindi il turista, per non pagare un servizio scadente, si rivolge al bed&breakfast o una casa vacanza. È così che si sono sviluppate tutte quelle forme che vengono chiamate “ricettività extra alberghiera”. Fino ad arrivare agli affitti brevi, una gallina dalle uova d’oro per chi aveva anche una casa piccola in un centro storico e l’ha immediatamente trasformata per gli affitti nelle vacanze, anche perché non ci sono stati, nel frattempo, dei controlli stringenti su quello che stava avvenendo e non sono state poste delle regole.
Quali criticità emergono da questa deregolamentazione?
Una è quella su cui viene sempre posta l’attenzione: il centro storico si sta svuotando dei propri abitanti, che tra l’altro è un problema enorme per il turismo, perché i turisti quando vanno a vivere il centro storico si aspettano di vivere l’identità di quel luogo e invece si ritrovano come se fossero in un grande albergo diffuso con tanti altri turisti. L’identità è fatta dell’abitante locale, con le sue abitudini, usi, costumi, le tradizioni. L’altra criticità è che gli affitti sono arrivati alle stelle, inavvicinabili sia per gli abitanti del luogo, sia per gli studenti. Il mercato immobiliare è stato praticamente drogato. C’è poi una terza criticità che non viene mai citata: tutto il lavoro irregolare che queste strutture producono. In questa situazione il cittadino rischia di pagare due volte: da cittadino che non riesce più a trovare una affitto adatto alla sua retribuzione e se poi è anche un lavoratore del turismo paga anche il fatto che nella maggior parte di queste strutture non si hanno rapporti di lavoro regolari. Anzi, molto spesso non solo non sono regolari, ma si basano sulla sfruttamento di lavoratori migranti, che sono l’anello più debole della catena.
Nonché il terzo dazio dal punto di vista fiscale.
Certo, perché molto spesso, in quanto strutture irregolari, i proprietari non versano alcuna tassa. C’è una larga fetta di quel mondo che è improvvisato, perché spesso sono strutture che non nascono per un progetto imprenditoriale vero e proprio. Non può funzionare in questa maniera, ci vogliono le regole e i controlli, altrimenti anche questa diventa propaganda: si grida allo scandalo dell’affitto breve, però poi non si interviene in maniera fattiva.
Rispetto a questo quadro frastagliato, con la recente ipotesi di accordo per per il rinnovo del contratto in che modo si affrontano le criticità descritte? Quali sono i punti salienti?
Il rinnovo è avvenuto sia con Confcommercio, per la ristorazione prima e successivamente anche per il comparto ricettivo, che con Confesercenti e sicuramente un punto di forza è il fatto di essere riusciti a scongiurare l’introduzione di elementi che possano creare ulteriori criticità ai lavoratori. Sono stati introdotti temi nuovi che danno una risposta importante soprattutto alle donne, una fetta importante degli addetti al settore. Mi riferisco alle tematiche legate alle pari opportunità; alla genitorialità – che finalmente riconosce la condivisione dei ruoli anche all’interno dei contratti nazionali, per cui non è tutto a carico della lavoratrice e quindi non è più solo maternità – con il recepimento di tutti i permessi che la legge prevede anche per il padre; inoltre, sempre in merito alla genitorialità, è stato introdotto anche un miglioramento dal punto di vista economico, perché è stata riconosciuta l’intera maturazione di tutti gli istituti differiti anche durante i periodi di congedi obbligatorio, facoltativo e parentale. C’è un ampio capitolo dedicato al contrasto alla violenza e alle molestie sui luoghi di lavoro, un risultato di civiltà oltre che punto qualificante del contratto. Sono stati introdotti anche degli ulteriori elementi migliorativi alle previsioni di legge in favore delle donne vittime di violenza, in modo tale da poter favorire la loro permanenza sui luoghi di lavoro o creare le condizioni per cui possano allontanarsi o beneficiare anche di turni più confacenti con il loro percorso senza dover rinunciare né al posto di lavoro né al reddito. È stato migliorato anche il welfare contrattuale, con un aumento dell’importo della quota mensile che le aziende versano a favore dei lavoratori e delle lavoratrici per l’assistenza sanitaria integrativa. Una risposta al reddito ottenuta anche attraverso l’aumento salariale di 200 euro al IV livello a regime, da riparametrare per i diversi livelli di inquadramento, che a scadenza del contratto, 31 dicembre del 2027, si traducono, come nel caso del Contratto del Turismo Confcommercio in una crescita della massa salariale di €6.200. Questa impostazione, nei temi introdotti e nella stessa scadenza per tutti i Contratti, prova a dare anche una certa omogeneità a un settore così complesso e variegato, con una filiera decisamente estesa e frastagliata anche dalla scomposizione contrattuale avvenuta negli ultimi anni. Una certa organicità per evitare che lavoratrici e lavoratori siano penalizzati a seconda del comparto o a seconda del contratto. Ogni contratto, comunque, ha poi anche il proprio elemento distintivo, a seconda della specificità del comparto a cui fa riferimento. Per la ristorazione, un punto qualificante è senza dubbio la classificazione del personale, con l’automatismo del passaggio, dopo 15 mesi di anzianità, dal 6 livello al 6 Super per le addette alle mense. Mentre per il Contratto Federalberghi Faita, l’elemento specifico qualificante è senza dubbio il nuovo articolato sulle terziarizzazioni, successione nell’appalto e internalizzazione dei servizi precedentemente esternalizzati. A Confesercenti va il merito di avere ricomposto il contratto unico del Turismo, che contempla al suo interno sia la parte speciale dedicata alle strutture ricettive, che quella per la ristorazione e quella per le agenzie di viaggio.
Per sintetizzare con un monito: come si combatte la precarietà di questi lavoratori?
Contratto nazionale, contrattazione di secondo livello, politiche per il settore.
Elettra Raffaela Melucci