“Non c’ho le persone giuste”. E’ un ritornello tipico degli imprenditori italiani, ogni volta che li si confronta con la necessità di salti difficili: diventare più grandi, esportare, darsi una gestione più moderna, entrare in Borsa, finanziarsi con le obbligazioni. Ma lo stesso ostacolo, dicono i dati della Banca d’Italia, vale anche per quel passaggio obbligato che è la Ricerca&Sviluppo.
L’innovazione è la più sicura promessa di futuro, ma, in Italia, è una promessa sempre più elusiva. Mancano le strutture. Non basta avere la vocazione ad esportare, si innova tanto di più, quanto si è grandi e quanto è moderno il proprio management, dicono gli esperti. E l’Italia è la patria delle microimprese a conduzione familiare, spesso ancorate al passato: dalla mappa che hanno fatto a Via Nazionale, risulta che il settore in cui più facilmente l’Italia inventa prodotti nuovi è il tessile. Non propriamente terra di frontiera. Ma la mappa indica anche che il ritardo è, in primo luogo, culturale.
Cosa è che, soprattutto, impedisce alle imprese, in particolare dell’industria manifatturiera, di lanciarsi nella corsa all’innovazione? La mancanza delle persone giuste, dei tecnici, degli ingegneri, dei progettisti. Il 44,3 per cento delle aziende industriali dichiara che l’ostacolo maggiore ai programmi di Ricerca&Sviluppo è la difficoltà di trovare personale qualificato. Qui non siamo di fronte alla classica “scomparsa del tornitore”, la figura dell’operaio superesperto, tanto desiderato, quanto introvabile. Mancano i diplomati, i laureati, i master. E’ un durissimo atto d’accusa contro chi ha lasciato che scuola e università si avvitassero in una crisi senza fine. Per altro verso, guardando al bicchiere mezzo pieno, sembrerebbe un raggio di luce nelle tenebre della disoccupazione giovanile record italiana. Purtroppo, è un mezzo miraggio. E un alibi intero.
Le aziende che rispondono al sondaggio di Via Nazionale non sono le microimprese in cui è già difficile vedere un ragioniere, figuriamoci un ingegnere. Sono imprese con più di 50 dipendenti, dunque di dimensioni sufficienti ad immaginarvi anche una squadra di R&S. Invece, no. Dopo la mancanza di personale qualificato, il secondo ostacolo, per importanza, individuato dalle aziende è il costo troppo alto di imbarcarsi nell’innovazione. Quasi il 38 per cento dichiara che per mettere in piedi, da zero, dei progetti che innovino i processi di produzione o, direttamente, i prodotti, bisognerebbe spendere troppo. Anzitutto, per assumere quel personale qualificato di cui, un attimo prima, avevano lamentato l’assenza. E poi, macchinari, attrezzature, materiali.
Il gioco, sembrano dire i nostri imprenditori, non vale la candela. Perchè non è che i soldi non ci siano. Solo un’azienda su cinque denuncia difficoltà a trovare risorse interne o esterne da investire, in generale, nella ricerca. Ma farla davvero sembra un impegno troppo grosso, che frutterà troppo tardi.
Il sondaggio della Banca d’Italia è stato condotto a inizio 2011, cioè nel momento della ripresina, alla fine della recessione indotta dalla crisi dei subprime. Prima, dunque, che la successiva crisi del debito e degli spread proiettasse sull’economia l’ombra pesante della nuova recessione. Ci poteva, dunque, essere spazio per qualche ottimismo. Invece, il sondaggio di Via Nazionale rivela che l’incapacità di innovazione dell’industria italiana ha radici profonde e durature. I due ostacoli indicati come decisivi, infatti, sono quelli che non cambierà la congiuntura. Imbarcarsi , da zero, in una strategia di innovazione sarà sempre, infatti, inizialmente costoso. E il personale qualificato non si forma in un paio d’anni.
Maurizio Ricci