Alla fine degli anni settanta fu Giorgio Benvenuto, appena nominato segretario generale Uil, a coniare la frase . Stava finendo il decennio rosso e Benvenuto capì che era ormai ora di finirla con la contrapposizione sterile, che il sindacato doveva assumersi il ruolo che gli spettava come grande forza democratica di rinnovamento, di riformismo si direbbe oggi. Sono passati trenta anni da allora, ma la parola d’ordine resta tristemente ancora quella. Tristemente perché la permanenza di questi slogan, evocato venerdì scorso da Maurizio Sacconi all’assemblea di Federmeccanica a Venezia, cambiando solo la parola con , testimonia come quel salto culturale, che Benvenuto allora indicava come indispensabile, non sia ancora patrimonio di tutto il sindacato.
Sappiamo tutti come la Fiom resti ancorata al concetto di antagonismo, rivendicando a voce spiegata il proprio diritto a contrastare le richieste padronali. E’ vero e giusto che non si debba accettare tutto quello che chiedono le imprese, perché non è detto che quello che vada bene a loro debba necessariamente andare bene al Paese e ai lavoratori. Ma in una società complessa come è diventata anche la nostra il conflitto non può che essere l’extrema ratio, come ha dichiarato il nuovo presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi, il punto di arrivo di un confronto portato avanti fino alla fine, purtroppo con esito negativo.
La mistica del conflitto è di vecchia data e ha tante buone ragioni per sopravvivere, perché è dal confronto e anche dallo scontro di opinioni e posizioni negoziali che possono venire le scintille dell’innovazione sul piano contrattuale e queste poi tradursi in vantaggi competitivi per le imprese. Ma una cosa è confrontarsi e poi dividersi, ciascuno riprendendosi la propria libertà di azione, un’altra avviare un negoziato con l’arrière penséé della contrapposizione. Per questa strada si corre il rischio di perdere tutte le buone occasioni che la contrattazione può invece dare.
Il leit motiv di tutta l’assemblea di Federmeccanica è stato il pericolo della crescita zero. L’ha evocato Sacconi, ma anche Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, vi ha fatto riferimento. Tutti e due per sottolineare la necessità di cercare tutti assieme, aziende, sindacati e governo, le vie attraverso le quali riuscire a realizzare quella crescita di produttività, ferma da anni, che sia in grado di farci ritrovare la strada della crescita. Perché bassa crescita significa bassi salari ed è inutile avanzare rivendicazioni salariali, pur così necessarie, forse indispensabili, se non c’è una torta, per quanto piccola, da dividere.
Ma il pericolo è proprio quello e la battaglia, perché di questo si tratta, che si sta sviluppando all’interno della Cgil sull’avvio del negoziato per un nuovo modello contrattuale la dice lunga sulla determinazione della Fiom a non far passare la linea riformista che invece il segretario generale Guglielmo Epifani ha deciso di portare avanti. La posizione della Fiom è destinata a essere sconfitta, perché la confederazione è decisa e la democrazia sindacale non si può piegare alla volontà di una minoranza. Ma questa minoranza ha una sua indubbia forza, non solo politica, perché nella categoria è maggioritaria. Di qui le cautele, le difficoltà, il pericolo che tutto finisca nel nulla.
Una contrapposizione difficile e rischiosa, che pure sarebbe ancora possibile superare se non fosse supportata anche da un preciso disegno politico. Perché c’è certamente, dentro e soprattutto fuori del sindacato, chi crede che la sinistra radicale, espulsa dal Parlamento, possa non scomparire trasferendo le sue battaglie nelle fabbriche, riacquistando così la visibilità perduta. Un disegno miope, incapace di guardare all’interesse generale del paese, ma non per quello meno pericoloso. Perché questa occasione di rivedere le regole della contrattazione potrebbe essere la chiave di volta per liberare risorse, forze, capacità, che potrebbero riuscire a compiere il miracolo di invertire le tendenze di medio periodo e far fallire questa possibilità non troverebbe giustificazione. C’è solo da sperare che le difficoltà reali dei lavoratori e lo spettro di una ripresa della disoccupazione consiglino in maniera netta tutti i protagonisti, agendo da freno sulle ambizioni revanchiste di questi tristi eredi dell’antagonismo.
20 maggio 2008
Massimo Mascini